“Da una parte questa sentenza mette finalmente fine al dibattito, che ancora languiva in tali tribunali minorili, sull’utilizzabilità dell’art. 44 per le adozioni nelle coppie conviventi, anche dello stesso sesso. Dall’altra, il comunicato della Cassazione ‘neutralizza’ la questione parificando il caso del secondo padre a quello della madre intenzionale, parlando genericamente di ‘genitore intenzionale’. Questo è senz’altro positivo, perché dimostra che la difficoltà giuridica non dipendeva dal fatto che si trattasse di una coppia gay. Il problema, correttamente, è stato inquadrato prescindendo da sesso e orientamento sessuale”. È questo il primo commento dello studio legale Schuster di Trento sulla sentenza della Cassazione che nega il riconoscimento di figli di due padri.
“Rimane da capire se la sentenza decide anche il caso concreto dei due bambini di Trento, essendo state sollevate importanti questioni processuali. Occorrerà leggere la sentenza”, afferma l’avvocato Alexander Schuster. “Salvo contenuti della sentenza che innovino sugli effetti di tale tipo di adozione – sottolinea il legale – l’interesse dei minori non viene tutelato con un’adozione in casi particolari, che è un’adozione incompleta, non piena. Essa non pone il minore nella stessa posizione in cui si trova un figlio riconosciuto o trascritto. Per citare una discriminazione, i due gemelli non sarebbero fratelli rispetto al secondo padre, ma solo rispetto al padre genetico: fratelli per metà. Non hanno nonni rispetto al secondo genitore. In tal caso, alla famiglia trentina sarebbe possibile ricorrere alla Corte europea per i diritti umani con alta probabilità di successo”
“Una sentenza nasce in parte già vecchia, in quanto non tiene conto del parere recentissimo della Corte edu, che impone di riconoscere il legame tra minore nato da GPA e genitore intenzionale” afferma invece Angelo Schillaci, ricercatore di Diritto Pubblico Comparato a La Sapienza di Roma che ci tiene a sottolineare: “anche se si tratta del caso di trascrizione di un bambino con due padri, non è una sentenza sull’omogenitorialità, ma su conseguenze in Italia della gpa fatta all’estero, sia per coppie etero che omo. Chi la sta salutando come una “vittoria” contro l’omogenitorialità è in gravissima malafede e rivela la propria sin qui malcelata omofobia. Ripeto: la Cassazione nulla dice contro l’omogenitorialità, anzi” specifica “dà ormai per scontato che anche in coppia omosessuale possa aversi adozione in casi particolari: peccato che non consideri, dal punto di vista del minore, che avere una “stepchild” è praticamente impossibile nel 60% e oltre dei Tribunali italiani (e che essa non ha gli stessi effetti della trascrizione)”.
“La sentenza della Corte di Cassazione pubblicata oggi, che non consente il riconoscimento alla nascita dei figli di una coppia gay, fa emergere l’urgenza di una legge che riconosca la genitorialità e la adozione per le coppie lesbiche e gay, che tuteli i minori sin dalla nascita”. Lo afferma Fabrizio Marrazzo Portavoce Gay Center. “Invece oggi dopo questa sentenza – sostiene – il genitore non biologico sara’ costretto a chiedere il riconoscimento della propria genitorialità solo ai tribunali, lasciando così il minore per alcuni anni con un solo genitore riconosciuto, a differenza delle coppie eterosessuali dove in casi analoghi il riconoscimento della genitorialità e’ immediato, dato che per loro viene data dalla legge la possibilità di adottare”. Secondo Marrazzo, “questa sentenza fa emergere una forte discriminazione dell’attuale normativa che non consente alle coppie lesbiche e Gay di adottare a differenza di quanto avviene in tutti i paesi civili d’Europa e dell’occidente, per questo invitiamo al piu’ presto il parlamento a legiferare in tal senso”.
Per il capogruppo democratico in commissione Giustizia Alfredo Bazoli invece la sentenza avrebbe: “finalmente posto alcuni chiari paletti e punti fermi sul tema della maternità surrogata”. Il capogruppo PD afferma in una nota ha definito la sentenza come: “importante, equilibrata e condivisibile, che sancisce in modo chiaro e limpido la portata assoluta e non derogabile del divieto di utero in affitto previsto dalla legislazione italiana, e allo stesso tempo non impedisce il ricorso agli istituti paragenitoriali per dare ai bambini nati comunque attraverso tale pratica la tutela di cui necessitano, attraverso il riconoscimento giuridico del legame con il genitore non biologico. È una sentenza che chiude definitivamente la porta ad ogni spiraglio di apertura o aggiramento del divieto di utero in affitto, ma che può diventare anche una occasione per mettere mano in modo organico agli istituti paragenitoriali, come il partito democratico aveva proposto già nella scorsa legislatura”
Di diverso tono all’interno del Partito Democratico, il commento della senatrice Monica Cirinnà: “La sentenza ci invita a riflettere, nel rispetto che ad essa è dovuto, sullo stato delle tutele che il nostro ordinamento fornisce ai figli di due mamme e di due papà” e aggiunge: “Non possiamo dimenticare che, in assenza di una legge, le famiglie arcobaleno sono costrette a sperare nella buona volontà dei giudici; e che non tutti i Tribunali per i minorenni del nostro paese concedono l’adozione in casi particolari nei tempi rapidi che l’interesse del minore richiede; e che, infine, l’adozione coparentale ha effetti limitati e non pieni. Un Parlamento serio e davvero attento alla tutela dei più deboli si attiverebbe subito per modificare il quadro normativo esistente, riformando le norme su procreazione assistita, filiazione e adozioni, assicurando la piena eguaglianza di tutte le bambine e di tutti i bambini, anzichè continuare ad affrontare la questione in modo ideologico e non rispettoso della pari dignità di tutte e tutti”
Dall’altra parte della barricata esulta la controparte omofoba delle associazioni e della politica. Per Augusta Montaruli, parlamentare Frateli d’Italia e Maurizio Marrone, dirigente nazionale: “Finalmente la Cassazione conferma che l’utero in affitto è una pratica incivile, schiavistica e quindi incompatibile col nostro ordinamento giuridico, mettendo quindi fuori legge le iscrizioni anagrafiche delle adozioni gay in caso di maternità surrogata: una pronuncia storica che costituisce precedente vincolante per tutta la giurisprudenza italiana a venire”
E insieme lanciano un affondo ai sindaci che hanno consentito il riconoscimento delle famiglie arcobaleno: “Le iscrizioni anagrafiche operate in questi mesi dai sindaci gay friendly come Appendino a Torino erano, quindi, evidentemente illegali, come noi abbiamo sempre sostenuto e ora chiederemo formalmente con una interrogazione parlamentare al Ministro degli Interni Salvini di ordinare ai Prefetti di annullarle”.
Si congratula anche Mara Carfagna, vice Presidente della Camera e deputata di Forza Italia, in una nota: “La sentenza della Cassazione mette fine una volta per tutte alla pratica illegale di trascrivere automaticamente all’anagrafe bambini nati all’estero con l’utero in affitto, una pratica severamente vietata in Italia, permessa oramai soltanto da 18 paesi nel mondo, condannata dagli organismi internazionali perchè assimilata alla schiavità e alla compravendita di esseri umani” e conclude: “Ci auguriamo altresì che d’ora in poi la magistratura rispetti e applichi fino in fondo la legge 40, che punisce chi, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità, e quindi chi dall’estero viene a cercare clienti per l’utero in affitto in Italia, chi si fa tramite per questa pratica illecita e chi la favorisce”.
Celebrano la decisione che è stata presa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione anche anche Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente del Congresso Mondiale delle Famiglie e di Pro Vita e Famiglia: “Le donne non sono incubatrici e i bambini non sono merce” dichiarano: “Finalmente i giudici hanno detto un NO chiaro e netto alla vergognosa trascrizione all’anagrafe degli atti di filiazione di bambini comprati all’estero tramite utero in affitto. Il verdetto su un caso che proveniva dalla Corte d’appello di Trento e definito ‘a tutela della gestante e dell’istituto dell’adozione’ dà ragione alle nostre battaglie e ci dice che non sono vane oltre che rispettose della legalità e della ragione”.
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