“Vedi che iniziano a girare la manovella, e sai che arriverà, e quando arriva il tuo corpo inizia a tremare, sai cos’è perché ci sei già passato, ma non capisci più cosa succede, urli di dolore che ti scoppia la gola, ti senti cadere, e poi ricomincia”. Così, Andrey (nome di fantasia) racconta all’Espresso le torture subite nelle prigioni segrete cecene solo perché gay. Il settimanale è riuscito ad intervistare due sopravvissuti alle persecuzioni in atto ormai da mesi nella repubblica caucasica contro gli uomini omosessuali. Entrambi vivono in una casa sicura, protetti da protocolli speciali studiati da Russian LGBT Network, l’associazione che si sta occupando di proteggere le vittime e che ne sta curando l’evacuazione, per salvare le loro vite.
La “telefonata a Putin” e la “sedia”
La manovella di cui parla Andrey è quella che attiva una dinamo che poi rilascia la scarica elettrica che attraversa il corpo del prigioniero. La chiamano “telefonata a Putin” ed è quella che provoca un dolore tale da non potere resistere. Ci sono anche, come avevano già raccontato altre testimonianze, le botte con i tubi: “Ti mordi le mani fino a sanguinare ma ce la puoi fare”, spiega Andrey. Ma all’elettricità non si resiste. E poi c’è la “sedia”, di cui si hanno diverse testimonianze di presone che tra loro non si conoscono. Una sedia, appunto, con fili elettrici collegati ai braccioli e altri che vengono attaccati al corpo della vittima. La “sedia” e la “telefonata a Putin” sono i metodi di tortura preferiti dai carcerieri.
Rimandati alle famiglie perché li uccidano
Andrey conferma le notizie già circolate in precedenza: quello che i militari vogliono è che si rivelino altri nomi di gay o presunti tali da arrestare e torturare a loro volta.
Il ragazzo è vivo solo perché quando è stato liberato, dopo due settimane di torture, è stato riconsegnato alla famiglia con la raccomandazione che fossero loro a completare quanto già iniziato uccidendolo. Un omicidio che in Cecenia sarebbe accettato e non perseguito dalla legge perché basato sul principio del delitto d’onore.
Rapito, picchiato e taglieggiato
Insieme ad Andrey c’è anche Mikhail (anche questo è un nome di fantasia). Lui non è finito nelle prigioni, ma è stato brutalmente malmenato da quello che si definisce un “provokator”. Un uomo che si è finto amico, l’ha contattato su Vk, il social network più usato in Russia. Mikahil si è fidato e l’ha incontrato. Ma l’incontro non è andato come il giovane si aspettava. Lungo la strada, l’uomo ha deviato dal percorso infilandosi in un bosco tramite una strada sterrata. Lì, ad aspettare l’auto, c’erano tre militari vestiti di nero ed è cominciato il pestaggio.
“Mi tirano giù dal sedile, e arriva il primo calcio. Mi pestano per dieci minuti, forse 15 – racconta Mikhail all’Espresso -. Mi urlano che sono un pederasta schifoso, e che gente come me in Cecenia non deve esistere. Uno riprende tutto col telefonino. Poi resto raggomitolato nel fango e spero solo che non arrivino altre botte. Loro guardano le foto e i contatti nel mio cellulare. Mi gridano in faccia che devo dargli 200mila rubli sennò mettono tutta la mia storia e le mie foto su internet. Io ho qualcosa di rotto nella bocca, non posso parlare”. Mikhail vende tutto quello che ha e consegna i soldi.
La paura
Non dice niente a nessuno: in Cecenia di omosessualità non si parla mai, neanche per denunciare una violenza. Ora è costretto a prendere degli psicofarmaci, almeno per riuscire a dormire. Ma la paura è il sentimento dominante anche nella casa sicura dove vive con Andrey. Sa che gli uomini di Kadyrov potrebbero trovarli. Pochi giorni dopo la sua fuga, sono andati a casa della madre e le hanno detto che suo figlio è gay, l’hanno minacciata perché rivelasse i nomi degli amici del figlio. Anche lei, si è allontanata dalla sua casa, per sicurezza.
I visti per lasciare la Russia
Gli uomini sfuggiti all’orrore stanno tutti chiedendo dei visti per lasciare anche la Russia: non è sicuro neanche lì perché il Cremlino non fa niente per difenderli né per opporsi a quello che ormai sembra un piano preciso del governo ceceno di eliminazione di tutti i gay.
Russian LGBT Network ha contattato le ambasciate degli altri paesi per chiedere i visti necessari, male procedure sono lente.
L’Espresso ha raggiunto l’ambasciata tedesca che pur non volendo dare dettagli ha lasciato intendere che la procedura è avviata. Secondo il presidente di Russian LGBT Network, Igor Kochetkov, “i visti sono il primo passo per un’azione penale internazionale per crimini contro l’umanità“.
È l’unico modo perché si faccia definitivamente luce e si tenti di avere giustizia per quanto sta accadendo in Cecenia. Inutile aspettarsi che il governo di Mosca, che in quanto capo della federazione dovrebbe controllare anche la Cecenia, faccia qualcosa. Equilibri troppo delicati reggono i rapporti tra il Cremlino e Kadyrov.
Vittime degli equilibri tra Putin e Kadyrov
Alexey Malashenko direttore del programma Islam, religioni e Caucaso al think tank Carnegie di Mosca ha spiegato all’Espresso che “non è una questione di religione”. “La religione viene usata da Kadyrov per mantenersi saldamente al potere – dice -, qualche presa di posizione semi-fondamentalista serve a tener buoni alcuni clan”. “Putin – continua – è ostaggio di Kadyrov e Kadyrov è ostaggio di Putin. La Cecenia senza i soldi di Mosca non può sopravvivere, e Mosca ha bisogno che la Cecenia sia pacificata. Gli equilibri che evitano una nuova guerra di secessione li può garantire solo Kadyrov. In cambio, il leader ceceno pretende l’assoluta immunità. Ecco perché le leggi russe in Cecenia non valgono”.
L’unica via, dunque, resta quella dell’azione internazionale. Anche per questo Russian LGBT Network sta tentando di mobilitare le ambasciate europee, ma l’Italia non è tra i paesi a cui sono stati chiesti i visti.
AVVISO: Gaypost.it ha lanciato una campagna in aiuto di Russian LGBT Network. Acquistando i Pride Kit 2017 contribuirete alla raccolta fondi per aiutare l’evacuazione dei ceceni.