È il 1973 quando torna in Italia e poco dopo viene intercettata dalle televisioni e dalle radio dell’epoca che vogliono sentire dalla sua viva voce cosa significava essere femminista in Sicilia durante la Seconda Guerra Mondiale. Maria Occhipinti, nata a Ragusa nel 1921, cento anni fa, aveva infatti vissuto quasi tutta la sua vita fuori dai confini dalla patria. “Mi sentivo incompresa”, spiegherà alle telecamere della Rai negli anni Settanta con un particolare accento, frutto della mescolanza di americano, messicano e francese.
Maria Occhipinti
Cresciuta analfabeta, è da autodidatta che diventa saggista e scrittrice di racconti e poesie, pubblicata postuma anche da Sellerio. Maria è autrice di “Una donna di Ragusa”, autobiografia ignorata quando esce nel 1957, con la prefazione di Carlo Levi poi ripubblicata da Feltrinelli negli anni del ritorno. Un libro rivoluzionario e di indagine sulla condizione delle donne siciliane sullo sfondo della guerra che parte dalla testimonianza personale di un vissuto tra oscurantismo religioso e ingiustizie di genere.
Ma tutto inizia nel 1944. Mentre a Nord si scrivono le ultime e più combattute pagine della Resistenza, in Sicilia si vive già in una sorta di dopoguerra, con la massa che tra le macerie si trova alle prese con la fame, il carovita e la disoccupazione.
Femminista durante la Guerra
È in questo scenario che alle famiglie arriva la “cartolina rosa”, lo strumento per richiamare i giovani alle armi. Maria Occhipinti, 23 anni e al quinto mese di gravidanza, si schiera contro quella che dal popolo viene letta come una richiesta illegittima e incomprensibile. Dalle riunioni femministe nei tinelli delle case si sposta alla strada prendendo parte ai tumulti che scoppiano davanti gli edifici pubblici e ai dipartimenti delle forze dell’ordine. Lo fa sdraiandosi con il pancione ai piedi del camion che setacciava i vicoli dell’Isola per recuperare braccia da armare.
Sarà l’unica donna a pagare con il confino a Ustica le sommosse popolari durante la Campagna d’Italia, tra queste anche la Strage del Pane. A Ustica nasce sua figlia, Maria Lenina. Passerà anche due anni di carcere, alle Benedettine di Palermo, oggi Campus universitario di fronte San Giovanni degli Eremiti.
Quando ritrova la libertà trova intorno a sé una Sicilia martoriata, svuotata e disorientante occupata da una società che non la accoglie. Lei, una donna, aveva commesso l’errore di prendere parte alle rivolte. Su questo episodio scriverà: “Potevo perire miseramente schiacciata come un verme da quell’ambiente arretrato e barbarico, potevo soccombere sotto le nerbate di mio padre, ma sentii confusamente che sarei sopravvissuta e che un giorno avrei parlato”.
A lezione con Simone de Beauvoir
La scossa di percepirsi in una terra ostile la spinge ad aderire al movimento anarchico all’interno. È lì che si fa madre di diverse iniziative femministe che legano le istanze del lavoro a quelle della parità di genere. La lotta è contro la povertà, ma anche contro la schiavitù psicologica e morale sotto alla quale vivono le donne del Sud. Ma non è abbastanza. Quella stessa spinta le fa lasciare la Sicilia: “Ho saldato persino le corde delle navi per vivere” dirà in seguito.
Si improvvisa sarta, pellicciaia, aiuto infermiera, baby sitter prima in Svizzera, dove nel ’57 scrive appunto la sua autobiografia, poi in Marocco. In Francia si intrattiene con intellettuali di sinistra ed elabora i tratti del femminismo novecentesco con Sartre e de Beauvoir. Andrà poi in Canada, negli Stati Uniti e infine alle Hawaii. Integrata nel movimento femminista internazionale e legata a quello anarchico si stabilisce a Roma a metà degli anni Settanta.
Qui lavora come infermiera in una clinica e qui si spegnerà nel 1996 ma non prima che l’Italia ne scopra la figura, il valore e la parola.
Maria Occhipinti e “Una donna di Ragusa”
A promuoverla è prima di tutti Enzo Forcella. Da direttore di Rai Radio Tre la intervista e, facendole raccontare e rivalutare politicamente i moti del ’45, scopre le idee e gli scritti della donna.
Così “Una donna di Ragusa” di Maria Occhipinti esce ancora nel 1976, stavolta per i tipi di Feltrinelli e con una prefazione del giornalista. Quello stesso anno riceve il Premio Brancati per la Letteratura.
“Mi domandavo chi avesse inventato queste tradizioni e perché la donna fosse considerata un essere da sottomettere e dominare” scriveva Maria Occhipinti che diventa la voce narrante di un racconto inedito, disturbante e quanto mai realista per cui a quel punto l’Italia era pronta. Il suo è uno scritto in prima persona, da una donna che non accetta di conformarsi alle regole morali in vigore nella Sicilia dei primi del Novecento e che per questo lotta, analizzandone le storture che vive sulla sua stessa pelle, contro i pregiudizi e gli stereotipi che ne sono colonne portanti mentre tratteggia gli anni del fascismo e le dinamiche dell’antifascismo.
Tornerà in Sicilia varie volte lasciando all’Isola la sua ultima apparizione pubblica. E’ un’anziana signora alla fine degli anni Ottanta, quando a Comiso tiene un comizio contro i missili Cruise in piena coerenza con il suo spirito pacifista.