Tanto tempo fa guardavo una fiction, a casa, in famiglia. Una di quelle cose orrende targate tv generalista, per intenderci. Avrò avuto diciassette anni o su di lì. C’era una storia gay. Due personaggi secondari, in cui a un certo punto uno dei due uccide l’altro per questioni di interesse personale. Ricordo anche la casa in cui i due vivevano: quasi sempre al buio, arredamento dimesso. Il poliziotto che indaga e risolve il mistero bolla il tutto come “squallida relazione tra pervertiti”. Sotto lo sguardo indulgente degli altri protagonisti. Non è stata una pagina bellissima. Della mia vita in primis. Perché di fronte c’erano i miei genitori. E ai loro occhi, quelli come me vivevano in posti lugubri, si davano a storie squallide e consumavano omicidi in “ambienti gay”.
Perché dico tutto ciò, vi chiederete. Ieri sera, su Gaypost.it, è uscito un articolo su Chiara Ferragni e la sua risposta contro un commento poco gentile nei confronti delle persone Lgbt+. L’influencer dice cose di buon senso. Cose che chiunque – non animato da ferventi intenti di omo-bi-lesbo-transfobia – vorrebbe che fossero dette. Eppure, sia sotto quel post sia in altre bacheche, non sono mancate le solite polemiche. Vuoi perché è vip, e quindi ricca e quindi stronza (non è il mio pensiero, ma questa sembra essere la sintesi), vuoi perché non è un’attivista e si permette di parlare di certe questioni da lasciare ad addett* ai lavori, vuoi perché ha il compagno che scrive cose piuttosto imbarazzanti. Insomma, siamo alle solite.
Come ho già scritto altrove, non mi interessa entrare tra le schiere di fan ed haters di Chiara Ferragni. In tutta sincerità, lei mi è abbastanza indifferente. Faccio notare, però, una cosa: il suo profilo su Instagram è seguito da milioni e milioni di follower. E faccio notare, ancora: viviamo nel qui ed ora. Non nel mondo delle cose che dovrebbero essere più opportune. Ma nel mondo delle cose che accadono. Tradotto in termini più semplici: che lei dica delle cose di buon senso, per di più contrastando un discorso omofobo, significa far passare quel messaggio a tutta la gente che la segue. È necessariamente un male? A mio giudizio, no.
Adesso, io capisco pure sia l’attivista di lungo corso sia le militanze ben preparate sull’argomento. Anni e anni a spaccarsi la schiena su testi fondamentali e poi arriva quella che ti vende l’acqua a millemila euro e ci spiazza tutti, tutte e omnia (poi un giorno vi parlerò di come superare asterischi, schwa e -u finali, ma questa è un’altra storia). Ok, siamo d’accordo: Chiara Ferragni è colpevole di non aver scritto un post di 90.000 caratteri, citando Foucault. E capisco anche che non le si puòappiccicare Marx e qualsivoglia critica al sistema in nessun modo. Ma tornando al qui ed ora, e cioè al mondo com’è: di quei milioni di persone forse in poche conoscono quegli autori e non so nemmeno quante abbiano gli strumenti per comprenderli. Lei, invece, con poche e semplici frasi dice cose largamente condivisibili.
Torniamo al passato adesso. Quando ero un ragazzino, avevamo persone del mondo dello star system che sulle persone Lgbt dicevano le cose peggiori. Ricordo quando Rupaul si esibì a Sanremo con Elton John. Subito dopo non ricordo se un giornalista o un opinionista fece una battuta di pessimo gusto. Con un Pippo Baudo che gli fece da spalla. La sensazione di essere un errore era fortissima. Così com quando vidi quella fiction in cui i gay facevano cose brutte al buio e poi si uccidevano pure. Oggi penso a quell’adolescente che leggendo certe parole – sul profilo di Chiara Ferragni, a questo giro – sente meno il peso dell’oppressione sociale e della solitudine.
Un tempo avevamo personaggi noti dire cose orribili. E fiction in cui stereotipi e pregiudizi erano ingrediente narrativo. Oggi abbiamo Grey’s Anatomy. Che non è Mieli, sono d’accordo. Ma credo che, in certi contesti, sia più efficace. Così come è efficace il commento di cui sopra. Concentriamoci su questo. Poi, nessuno la eleva a nuova icona gay (non certo chi ne sta scrivendo). E se domani sarà da criticare, per altro, non si avranno problemi a farlo. Ancora, e a beneficio di chi si starà già strappando le vesti, subodorando eresie varie: non dico e non penso che leggere Mieli, Foucault e Marx sia inutile. Anzi, tutt’altro. Dico che bisogna sempre vedere il contesto in cui certi fenomeni si producono e si consumano. Mao Tse-tung diceva che non gli interessava il colore gatto: doveva acchiappare i topi, questa la cosa più importante. Io penso la stessa cosa. Anche se il gatto ha il manto biondo e ottime strategie di marketing.
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