“Com’eri vestita?” E’ questa una delle domande che più frequentemente una donna che denuncia una violenza sessuale si sente fare. Il sottotesto è: “be’, un po’ te la sei cercata, se eri vestita in quel modo”. E’ così che comincia il processo di colpevolizzazione della vittima della violenza, invece che dell’autore. Ma lo stupro, le molestie, le violenze sessuali non hanno niente a che fare con l’abbigliamento.
Da questa consapevolezza nasce la mostra che si intitola, appunto, “Com’eri vestita?” voluta alla Cooperativa Cerchi d’Acqua di Milano ed allestita alla Casa dei Diritti del capoluogo lombardo.
Ad essere in mostra sono vestiti che “rappresentano simbolicamente quelli indossati durante la violenza subita – si legge sul sito di Cerchi d’acqua – e sono accompagnati da brevi suggestioni che le donne hanno voluto condividere, raccontando alcuni elementi della loro esperienza”.
Jeans e magliette, pantaloni e camicia, perfino un pigiama sono lì a spiegare con la forza dell’evidenza che chi compie una violenza su una donna non lo fa per ciò che indossa.
Scopo dell’installazione è “decostruire alcuni stereotipi relativi alla violenza sessuale”. Tra questi “l’idea che l’abbigliamento possa esserne la causa e che l’atteggiamento e il comportamento della donna possano averla provocata”.
Gli abiti, spesso casalinghi come può essere un pigiama, rappresentano storie di “violenza sessuale, stupri, molestie, abusi subiti da estranei o da partner occasionali, ma più frequentemente dal compagno di una vita che non accetta un “NO”, oppure da una fidata figura familiare, nelle sicure e insospettabili mura domestiche”.
La mostra, inaugurata lo scorso 13 marzo, è visitabile ancora il 19 marzo dalle 9.30 alle 16.30, e il 21 marzo dalle 9.30 alle 12.00.
(foto: Ansa)
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