Pierpaolo Mandetta, blogger e scrittore, è diventato famoso per il suo blog “Vagamente suscettibile”, diventato un libro. Da allora ha scritto ancora, come il suo ultimo “Dillo tu a mammà”, altro libro di successo. In occasione del Coming Out Day di quest’anno ha voluto concedere a Gaypost.it l’uso del testo che segue e che è il racconto del suo coming out. Lo ringraziamo, per questo, e vi lasciamo alla lettura del suo scritto.
di Pierpaolo Mandetta
Un segreto in frantumi
Oggi è il coming out day e devo ammettere che il mio non lo avevo ancora mai raccontato.
Me ne vergognavo, avevo appena 13 anni.
Me lo sono tenuto dentro per tutto questo tempo, prima che mi uscisse fuori durante una presentazione, qualche giorno fa. Mi è scivolato dalle mani, senza rendermene conto, non era mia intenzione, e quando è caduto a terra era ormai un segreto in frantumi. Lo avevano visto tutti, era troppo tardi. Lo avevo nascosto al mondo, anche a me stesso. Non l’ho mai ripetuto ad alta voce, ho soffocato quel ricordo perché faceva male. Non ne faceva a me, ma a quel bambino che sono stato, a cui ho affidato troppo presto una responsabilità enorme.
Quel bambino che ho lasciato solo sugli scalini, e che forse ancora aspetta che ritorni qualcuno per scoprire che la guerra è ormai finita, può tornare a casa, non deve più resistere o fingersi adulto. Può godersi la pace, riprendere a giocare.
No, non parlo del coming out con i miei genitori. Neanche quello con la mia prima amica. Questo è venuto molto dopo, faceva già parte di un’età in cui si ragiona sulle cose, rifletti e fai programmi.
Il coming out più importante
Mi riferisco a quel coming out più importante. Quello che ti fai allo specchio, quel giorno speciale e orrendo in cui ti svegli e sai che sei diverso.
Ogni tanto mi si chiede com’è accettarsi, cosa vuol dire capire di essere gay. Come te la giochi a quell’età, l’adolescenza.
Io sono stato molto sfortunato. E anche davvero fortunato.
Sapete… quando capisci di essere gay e sei ancora un ragazzino, quel che ti si pone spesso davanti è una scelta. Feroce, infame, una stronza, ma è così quasi per tutti, non si scappa.
Quando capisci di essere gay, la scelta è quella di accettarlo e di decidere di non mentire. Di dire a tutti chi sei, col rischio di perdere gli amici di infanzia, di restare da solo in cortile con tantissime ore vuote. Di essere preso in giro, emarginato dall’intera scuola, picchiato dal branco. O peggio, di inimicarti i tuoi stessi genitori, di tralasciare le esperienze buffe e di crescita, le scemenze, l’emozione dello stare in famiglia, insieme, che ti dà la forza nelle gambe per diventare adulto.
Oppure, se il mondo e le sue conseguenze ti spaventano e non te la senti, non ce la fai, non è giusto che ti si chieda di essere così deciso e maturo a quell’età… be’, allora puoi tacere.
È semplice, sei salvo, l’enorme fatica che ti uccide piano piano se ne va.
Perché tocca a me?
Che pensi ma perché? Perché tocca a me, oh? Ma chi l’ha stabilito? Perché devo subire questo, mentre gli altri no, mentre quelli si divertono, e i problemi non li hanno, e se li hanno mica sono tanto gravi, a dodici, quindici, diciotto anni? Mica devono già salvare il proprio futuro, e tutelare pure i ricordi del passato? Mica esagero, magari qualcuno arriva e dice da oggi è finita, da oggi non sei mio figlio, o da oggi non siamo amici, mi sbagliavo sul tuo conto. Mica loro devono già cambiare vita per sempre?
È dura, cazzo. È una cosa orribile, avere il mondo contro.
Allora pensi ma sì, lo faccio. È una bugia, ma è il male minore, e il mondo non se lo merita il mio male peggiore.
Menti, poi ci prendi l’abitudine, e se lo fai va tutto liscio. La gente ti vorrà bene, rastrellerai sorrisi e consenso, le giornate saranno semplici, nessuno ti chiederà di dimostrare niente.
La sensazione di stare al sicuro
Puoi tenerti gli amici e sostenere le loro battute sul culo delle tipe. Credimi, la sensazione di stare al sicuro è sublime, merita ogni menzogna. Puoi perfino fidanzarti, e magari portare la tua ragazza a casa, a pranzo, presentarla a mamma e papà. Lui, papà, ne sarà entusiasta. Sarà fiero. Dio, quanto lo sarà. Portargli una ragazza lo renderà fiero come mai potrai fare se tu fossi gay e gli promettessi un 30 e lode, una borsa di studio in Germania, una casa comprata coi tuoi soldi, il profilo di un figlio premuroso, garbato, impeccabile.
Non gliene frega un cazzo, di quanto ti impegni. Non sarà mai fiero di te. Lui vuole una ragazza, punto e basta. E tu portagliela. Che male c’è a evitare dispiaceri, disagi e poca comunicazione? Che male c’è a evitare le sue delusioni, che egoisticamente consegnerà a te e peseranno il doppio. Che male c’è a renderlo orgoglioso così, simulando ciò che si aspetta?
Fallo ‘sto piacere: menti
Vuole la bugia? E tu dagliela. Tua nonna vuole una bugia? E dagliela. Gli amici in palestra vogliono una bugia? Dalla pure a loro. Dalla ai datori di lavoro. Dalla al governo, ai passanti per strada, dalla al dirimpettaio.
Menti, perché se menti sarà uno schifo, ma è sempre meglio di una vita intera di tragedie.
È il male minore, e il tuo cuore lo sa. Lo senti, come batte angosciato, quando qualcuno a cui vuoi bene si avvicina al tuo segreto, e nel tuo cervello rimbomba solo e soltanto il terrore di essere rifiutato, cancellato, privato dell’affetto.
E allora fallo, ‘sto piacere a tutti. Menti e dici che ti piace la figa. O che stasera esci con un tipo, se sei donna.
Perché tanto è solo un gusto sessuale. Un orientamento. Un dettaglio, è solo sesso. Sei etero o gay, ma etero è meglio. È meglio sempre, ovunque. Fidati, è meglio essere etero, a questo mondo.
Te lo dicono addirittura i commenti sul web: “che schifo, come lo spiego a mio figlio che due uomini si baciano?”.
È facile. Sei all’inizio. Non bruciarti l’adolescenza, le feste, le gite, l’università, il carisma, l’entusiasmo, e forse pure l’età adulta. Menti. Salvati.
A me non è andata così
Ma non c’è stato verso, a me non è andata così.
Non sono riuscito a salvarmi.
Sono stato sfortunato. Perché prima ancora che c’entrasse il sesso, purtroppo, per me c’entrava già l’amore.
Avevo tredici anni quando successe. Non avevo mai fantasticato su una tetta, ma neppure su un pisello. Ero un ragazzino tra le nuvole, cicciottello, non dicevo parolacce e in segreto giocavo ancora col castello di Batman, ma non lo dicevo a nessuno.
Un pomeriggio caldissimo d’estate, vagavo con la bicicletta sui marciapiedi davanti casa. Era il tramonto e vidi lui, un ragazzo diciottenne. Bellissimo, che quel giorno mi sembrò bellissimo ma oggi non ci giurerei. Snello, rasato. Aveva il sole rosso in faccia e camminava, l’atteggiamento un po’ strafottente, già indipendente, un po’ furbo.
La cottarella
Io me ne innamorai all’istante. Suppongo si possa chiamare cottarella, qualcosa di infantile. Ma mi devastò il cuore di bambino. Ogni mio singolo pensiero si canalizzò su di lui, diventando un’ossessione, il mio dolce sentimento da coccolare quando ero solo e potevo immaginare cose romantiche. Immaginare che stessimo insieme, che mi dicesse che ero importante, che mi difendesse dai compagni stronzi.
Lui non sapeva neppure della mia esistenza, ovviamente, ma a me andava bene così. Passavo le ore sulla bici ad aspettare quei pochi istanti in cui lui camminava e io potevo spiarlo da lontano, sorridere, assaporare la solitudine che mi causava la pelle d’oca. Sentirmi innamorato.
Eppure questo grande sentimento confuso mi aveva distolto da ciò che accadeva di più serio. Io ero cambiato e non ci stavo ragionando. Zero, nessun dubbio, nessun “che cosa mi succede?”.
Mi rispose una sera
Sciocco e ingenuo, in qualche modo riuscii a ottenere il suo numero di telefono, e così un giorno gli scrissi che mi piaceva. Tenni stretto quel Nokia come fosse una bottiglia in cui infilare il mio disperato biglietto d’aiuto, prima di lanciarla in mare.
Lui non rispose al mio sms. Invece mi sorprese una sera. Ero a mangiare la pizza con due amichetti di scuola. Mi chiamò di fronte a loro e mi disse che dovevo smetterla con quel gioco, che gli avevo rotto il cazzo, se no me l’avrebbe fatta pagare. Era tranquillo, un po’ cattivo, il suo amico rideva.
Certo, a pensarci oggi, era tutto ridicolo.
Io ancora piccolo, lui un ragazzo grande. Non avrebbe funzionato neppure se lui avesse capito che non era uno scherzo, che non serviva umiliarmi.
Sei diverso, sei gay
Col cuoricino rotto in mano, e pieno di vergogna, tornai a casa. Non risposi mai più alle telefonate dei miei compagni, che mi chiedevano di mangiare insieme una pizza. Anche per loro era stato tutto uno scherzo, una bravata finita male, passiamoci sopra.
Piansi per delle settimane e lì finalmente capii: non potevo fare finta che fosse normale. Non potevo provare amore e confessarlo come niente fosse.
Svegliati Paolo. Sei diverso. Sei gay.
Fuori dalla mia cameretta c’erano mia madre, preoccupata, e mio padre, che trovava fastidioso doversi preoccupare per un figlio strano, che non comprendeva. C’erano i problemi a scuola, il Papa al Tg, i film d’amore che riguardavano solo i maschi con le femmine. C’erano il calcio, che non mi piaceva, e c’erano gli impulsi sessuali che sarebbero venuti a bussare alla mia porta molto presto, come dei mafiosi che chiedono il pizzo.
C’era un sacco di roba contro cui lottare, e tante persone a cui dover mentire.
Dovevo scegliere
Ero sul mio letto, triste e in silenzio, le persiane chiuse a metà. Dovevo scegliere.
Eppure i pezzi del mio cuoricino, tra le mie dita, erano ancora caldi. Non riuscivo a unirli, a incollarli, ma erano vivi. Era tutto ciò che mi restava. Non potevo tradire il primo amore mai provato, non potevo farlo. Sarebbe stato come uccidere una creatura indifesa, un neonato, un gattino che miagola perché cerca la mamma. Mi sarei sentito un mostro.
Decisi che avrei difeso quel mio amore da tutto e da tutti. Cullato tra le mie braccia, perché io avevo solo lui, e lui aveva solo me.
Non me ne sono mai pentito
Per questo rinunciai alla mia adolescenza e interruppi il dialogo con i miei genitori. Andai meno a scuola, mi finsi spesso malato, non strinsi mai delle amicizie, mi rintanai nel mio mutismo, fatto di pensieri sotto gli alberi e sogni davanti ai telefilm.
Feci coming out con me stesso, pagando il prezzo che ancora tanti giovani pagano per non dover tradire ciò che provano.
La scelta. Scegliere gli altri o scegliere se stessi.
Ma non me ne sono mai pentito. Neppure per un secondo.
Perché la cosa più importante, nella vita, è essere gentili col proprio nome. Prendersi cura dei propri sentimenti.
Non calpestate mai ciò che siete. Vi garantisco che sarà tutta in salita, all’inizio, è vero, ma che ne varrà sempre la pena. L’amore che avete dentro varrà sempre la pena di essere salvato.