In questi giorni, dopo un’attesa che (almeno a me) è sembrata infinita, si stanno celebrando le prime unioni civili: Castel San Pietro, Milano, Reggio Emilia, Bologna, Torino.
I miei sentimenti su questa legge, come vi ho detto più volte (e in particolare qui) sono stati e rimangono tuttora contrastanti. Vorrei essere granitico, un pezzo di marmo, e rimanere impossibile di fronte a certe storie… ma non è possibile.
Margherita, che è riuscita a unirsi civilmente appena in tempo prima di morire. Franco e Gianni, che a 80 anni, e dopo 52 anni di vita insieme, vedranno finalmente riconosciuta la loro famiglia dalla legge e acquisiranno con un ritardo estremo dei diritti che spettavano loro da tanto, troppo tempo.
Queste storie mi commuovono, e mi ricordano che nonostante il prezzo pagato in Parlamento sia stato troppo alto (in particolare per le famiglie con figli come la mia), si sta inaugurando una nuova stagione di diritti per le coppie omosessuali.
Attenzione: parlo di diritti e non di uguaglianza. Parlo di coppie e non di famiglie.
Perché quello che ad oggi non abbiamo ancora ottenuto, pur spettandoci di diritto, non va dimenticato per un attimo. E nemmeno confuso.
Chiamiamo le cose con il loro nome, parliamo dunque di unioni civili, e non di matrimonio: perché il matrimonio e dunque l’uguaglianza ci vengono tuttora negati e veniamo relegati in questa sorta di apartheid per cui ci vengono riconosciuti tutti i diritti eccetto quelli genitoriali (e non è cosa di poco conto) ma non piena dignità.
Abbandoniamo le celebrazioni trionfalistiche per il risultato ottenuto, spesso ahimè accompagnate da improbabili ringraziamenti al leader di turno quasi a indicare che questi diritti (che sono indisponibili) ce li abbia concessi qualcuno dall’alto della sua grandezza e magnanimità.
Ma allo stesso tempo non dimentichiamoci di festeggiare almeno per i diritti che prima non c’erano e oggi ci sono, e per l’effetto prorompente che certamente avranno sulla società.
Non lasciamoci trascinare nel gioco della politica dei buoni e cattivi, del “mio partito è migliore del tuo”: rimaniamo vigili rispetto all’obiettivo, senza dimenticare la meta appena raggiunta.
Ciò che vi sto chiedendo, care amiche e cari amici del movimento, è di provare ad abbassare le armi e interrompere quella che a me continua a sembrare una guerra civile: i trionfalisti contro i duri e puri, con quelli come me che si ritrovano in mezzo a prendere mazzate dagli uni e dagli altri poiché considerati senza spina dorsale.
Io credo che le nostre forze vadano unite per raggiungere l’obiettivo che è e rimane sempre lo stesso: piena uguaglianza, pari dignità, uguali diritti.
Perché io voglio che questa sia una battaglia vinta dalla mia generazione e non piuttosto da Luca e dalla sua generazione fra altri 30 anni.