Quante volte, nelle aule del Senato e della Camera, abbiamo sentito esponenti dei partiti di destra intervenire contro il DDL cirinnà sostenendo che l’iter della legge non fosse regolare e che ci fosse un “conflitto di attribuzione”? Quei parlamentari, una cinquantina, avevano fatto ricorso alla Corte Costituzionale che, però, l’ha dichiarato inammissibile. Il conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato era stato sollevato nei confronti del Presidente del Senato, della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato e del Vice Presidente della Commissione giustizia del Senato.
Primo firmatario del ricorso, presentato a febbraio, era Carlo Giovanardi e all’iniziativa avevano aderito una cinquantina di senatori, tra cui Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella e Mario Mauro. I parlamentari lamentavano il mancato rispetto delle normali procedure parlamentari nell’esame del ddl Cirinnà (entrato in vigore lo scordo 5 giugno) e avevano impugnato il provvedimento con cui il Vice Presidente della Commissione giustizia del Senato ha disposto l’abbinamento del disegno di legge ad altri ddl (n. 2069 e n. 2084) in materia di Unioni civili già all’esame dell’Assemblea. Ma con l’ordinanza depositata oggi, la n. 149, di cui è relatrice la giudice Marta Cartabia, la Corte ha giudicato inammissibile il ricorso.
Sul sito della Consulta è stata pubblicata una sintesi che spiega le motivazioni della decisione. “I ricorrenti – si legge – lamentavano uno scorretto andamento dei lavori parlamentari relativi al disegno di legge n. 2081, noto come ddl Cirinnà, conseguente all’adozione di una serie di provvedimenti (abbinamento ad altri disegni di legge e calendarizzazione dei lavori in Assemblea) volti a ridurre indebitamente il suo esame in Commissione giustizia. La Corte – spiega la sintesi – non ha preso posizione sulla legittimazione del singolo parlamentare a sollevare conflitto di attribuzione quale potere dello Stato.
L’inammissibilità è, invece, dovuta al fatto che le irregolarità lamentate dai ricorrenti ineriscono tutte alle modalità di svolgimento dei lavori parlamentari sul d.d.l. n. 2081 come disciplinate dalle norme regolamentari e dalla prassi parlamentare, che debbono trovare all’interno delle stesse Camere gli strumenti intesi a garantirne la corretta applicazione”.
(fonte: Ansa)