Oggi parliamo del corpo. Apriamo con questo tema una nuova rubrica a cadenza quindicinale, curata da Erica Donzella. Il titolo, un omaggio al libro Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, vuole parlare di libri in grado di infiammare il pensiero di lettori e lettrici, che possano far riflettere sulla società che abitiamo e che forgiamo con le nostre scelte.
Ci sono domande? Innumerevoli, penso, chiudendo in un tonfo sordo l’edizione italiana de Il racconto dell’ancella, nella ristampa italiana di Ponte alle Grazie del 2017. Le domande che vorrei rivolgere a Margaret Atwood, autrice di questo distopico stroncato dal New York Times alla sua pubblicazione nel 1985 – «Ma la più grande mancanza, rispetto ai classici di genere distopico, è l’incapacità di immaginare un linguaggio che corrisponda al nuovo volto della vita sociale. Nessuna neolingua» (come leggiamo in The Book Fools Brunch, Guida tascabile per maniaci dei libri, Edizioni Clichy, Firenze 2017, p. 365 – sono un caleidoscopio di curiosità sulla struttura del romanzo e sul finale magistralmente lasciato in sospeso: impeccabile la costruzione narrativa che richiama all’“opera aperta”.
Il racconto dell’ancella racconta del grembo femminile come una macchina destinata alla riproduzione, in un regime teocratico immaginario che negli anni ‘80 ha rovesciato la democrazia negli Stati Uniti. Le donne fertili sono obbligate a procreare per garantire la continuità della specie umana. Corpi costretti in rigidi e monastici vestiti rossi, rapporti sessuali monitorati, obbligatori e completamente prosciugati da qualsiasi emozione, totale sottomissione alla dittatura patriarcale.
Il corpo femminile disegnato dalla Atwood è la morte del progresso culturale, sociale ed emotivo, come d’altronde impone la narrazione del genere distopico: una regressione a uno stadio sub-umano, una decrescita de-umanizzante che relega l’essere a riconsiderarsi e a vedere limitati i propri diritti e le proprie libertà. Un genere letterario che spesso, però, racconta una realtà simile a quella che viviamo. Non siamo forse davanti ad alcuni scenari a noi familiari, quando il corpo della protagonista di questo romanzo viene indagato e giudicato con fare denigratorio da parte di altre persone? Atwood nasconde il corpo delle donne per poterlo immaginare come meglio crede, per proteggerlo e caricarlo di un’ombra voluttuosa e che potremmo riscoprire con un desiderio antico e sorprendentemente viscerale. Per ridare dignità a una sacralità dell’umano che passa da tendini, pelle e muscoli.
In certi spiragli di luce filtrata da finestre antisfondamento, un particolare raggio cavaraggesco illumina piccole porzioni di pelle o le lievi curve di un seno che, seppur censurate dal regime totalitario, non possono non trovare spazio nell’immaginazione di qualsiasi lettore e lettrice. Il corpo in ombra, erotico ed elegante de Il racconto dell’ancella è una peculiarità stilistica che mi ha lasciato altre domande: come si fa a raccontare una luce che colpisce lievemente un dettaglio senza renderlo banale? Come si può amare ciò che non si vede? Come ci spoglia dall’arroganza e dalla pretesa di poter toccare tutto, l’altro e se stessi, senza violenza e avidità? Cos’è un corpo costretto nella rigidità mentale di una società che non sa riconoscere la libertà di ogni singolo individuo che la compone?
Margaret Atwood riesce esaustivamente a toccare l’argomento senza renderlo però l’unico pretesto evidente del romanzo: lo racconta e lo gestisce sapientemente in alcuni passaggi, racconta il corpo umano nella sua delicata fragilità, ma come una vera scrittrice, riesce a dissimulare, con una narrazione ricca di immagini, l’evidenza di un contesto e di una tematica storica che è tutt’altro che lontana dalla nostra contemporaneità. Il resto è letteratura. Ci sono domande?
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