Come i figli delle coppie eterosessuali, anche i figli delle coppie omosessuali hanno il diritto di mantenere i rapporti e la continuità affettiva con entrambi i genitori nel caso in cui questi si separino.
A stabilirlo è una sentenza della Corte Costituzionale che ha esteso l’articolo 337 ter del codice civile che si riferisce solo alle coppie eterosessuali. La Suprema Corte ha accolto l’istanza di una donna, madre non biologica di un bambino avuto con l’ex compagna, che aveva chiesto che venisse equiparata la figura di “parenti” per potere così continuare a mantenere i rapporti col figlio.
Nel valutare il caso, i giudici della Corte Costituzionale hanno tenuto in primo piano, ancora una volta, il “superiore interesse dal bambino” figlio di una coppia di donne di Palermo tra le quali c’era stata una relazione nata nel 2004 e successivamente terminata. Come spesso accade in una coppia che si separa, i rapporti fra le due donne erano diventati alquanto difficili al punto che la madre biologica si era opposta a che l’ex compagna continuasse a svolgere il suo ruolo di genitore sociale. Per questo la donna si era rivolta alla giustizia, ma la sua istanza era stata rigettata in appello, fino alla pronuncia della Corte Costituzionale.
La sentenza della Suprema Corte, la 225/2016, stabilisce che non ci siano limiti di costituzionalità nell’applicare l’articolo 337 ter anche alle coppie omosessuali aprendo di fatto la strada all’equiparazione tra i figli delle coppie eterosessuali e quelli delle coppie gay e lesbiche.
In un importante passaggio della sentenza, i giudici fanno notare che il solo dato biologico per stabilire la genitorialità è ormai superato dai fatti “anche in ragione del ricorso a metodiche procreative artificiali, che aprono la via – a livello normativo – alla scelta di fondare il rapporto di filiazione a partire dalla assunzione volontaria e consapevole della responsabilità genitoriale“.