Due fatti, in questi giorni, hanno riempito le cronache estive. Da una parte: il divieto d’ingresso di una coppia gay in un lido, a Napoli. Dall’altra: il caso dei bagnanti che a Pozzallo, in Sicilia, fanno balli in spiaggia, incuranti del cargo dei migranti al largo e in attesa di poter avere il permesso per toccare terra. Due fatti molto lontani, in apparenza, e sicuramente distanti per le umanità coinvolte e per le dinamiche che li hanno prodotti. Eppure due circostanze strettamente connesse, l’una all’altra, che raccontano la stessa storia: quella dell’esclusione dell’altro da sé.
Il caso della coppia rifiutata dal lido
Il primo caso non stupisce, sebbene faccia arrabbiare ugualmente. L’estate scorsa sono stati non pochi i casi analoghi di coppie gay rifiutate in alberghi, case vacanza o insultate nelle strutture balneari. L’ultimo episodio, in ordine di tempo, coinvolge Daniele Bausilio e Giuseppe Pitirollo, una coppia che si è unita civilmente lo scorso anno e che ha deciso di trascorrere la serata in un lido, che di notte si trasforma in discoteca. Eppure la sicurezza non li ha fatti entrare: una serata per coppie. «Ho fatto notare» racconta Daniele «che Giuseppe è mio marito, che quella non era una serata a tema “uomini con donne”». Ma niente da fare: «la coppia è composta da un uomo e una donna» la risposta.
La gente che balla di fronte al cargo dei profughi
Al largo di Pozzallo, in provincia di Ragusa, si trovava invece la nave cargo Alexander Maersk, battente bandiera danese. È lì in attesa di riceve il permesso per l’attracco. Permesso che deve arrivare dal ministro dell’Interno. Le condizioni nella nave sono preoccupanti. La stampa locale riporta che «vi è stata un’evacuazione medica per due migranti: una donna incinta all’ottavo mese di gravidanza e una bambina di 8 anni disidratata e con gastroenterite». La gente, però, tutto questo non lo sa. Vuoi per le vacanze, che ci tiene lontani dai giornali. Vuoi per indifferenza. In lontananza, intanto, le persone vivono in sospeso di una decisione. Decisione poi presa lunedì: a ballottaggi conclusi, stranamente.
Ai margini della normalità
La “lezione” che ci restituiscono queste storie è quella di due tipologie umane – le persone Lgbt e le persone migranti – tenute ai margini di un certo modo di concepire la “normalità”. Ai margini dalla vita di tutti i giorni. Due categorie che richiedono a chi vive in una condizione di privilegio acquisito alla nascita, ora in quanto eterosessuali ora in quanto italiani, la facoltà di avere la stesso accesso alla cittadinanza. La stessa accoglienza in un consesso di eguali. Chi per fuggire dai teatri di guerra, chi per accedere a quella quotidianità che per altri è un prerequisito.
Il recinto del privilegio
Si chiede, in entrambi i casi, che venga riconosciuta la liceità ad un progetto di vita. Ad una speranza, in una parola soltanto. Eppure sembra più facile tener fuori, escludere. Mentre all’interno del recinto del privilegio – sia esso definito da una norma giuridica, sia esso rappresentato plasticamente in strutture per la balneazione che si trasformano in locali notturni – la gente inscena la propria danza, come se nulla fosse. Un po’ perché non sa. Un po’ perché indifferente.