Ricomincia l’attacco al ddl Zan da quella parte del femminismo che si definisce “gender critical”, ma che da più parti si è definito come trans-escludente proprio a causa del posizionamento contro l’inserimento dell’identità di genere nel ddl che dovrebbe tutelare dai crimini d’odio le persone Lgbt+.
Contro l’identità di genere
«L’espressione “identità di genere” contenuta nel Ddl Zan sia modificata con “identità transessuale”» si legge in un comunicato diramato dalle realtà aderenti. «Lo chiedono ArciLesbica, Coordinamento italiano della Lobby Europea delle Donne, Laboratorio Donnae, Resistenza Femminista, Se non Ora Quando – Snoq Libere, UDI nazionale, UDI Catania, UDI Palermo in un appello per cambiare il disegno di legge sull’omotransfobia che mercoledì torna all’esame dell’aula del Senato».
Una parte rilevante del femminismo?
Secondo le realtà firmatarie «ciò permetterebbe il sostanziale superamento del conflitto che si è aperto tra i partiti del centro sinistra e una parte rilevante del femminismo e dell’opinione pubblica progressista». Affermazione, quest’ultima che abbiamo riportato volutamente in corsivo, che non sembra tuttavia corrispondere alla reale situazione in atto, visto che più volte larghissimi settori dei femminismi italiani, dell’opinione pubblica e della quasi totalità delle associazioni arcobaleno e alleate hanno difeso il Ddl Zan così com’è.
Le modifiche al Ddl Zan
«È sempre più chiaro» si legge ancora nel comunicato «che l’unica possibilità per approvare la necessaria legge sull’omotransfobia è quella di recepire poche, ma fondamentali modifiche. Dopo un lungo rinvio, voluto dal centro sinistra e dal M5S per convenienze politiche ed elettorali, che smentiscono l’urgenza proclamata nei mesi precedenti nulla sembra essere cambiato. Da due anni, non si ascoltano i rilievi giuridici, le critiche politiche e culturali avanzate da associazioni delle donne, da accademici, da intellettuali, da centinaia di personalità del mondo progressista».
La pretesa di inserire l'”identità transessuale”
L’appello è quello che «si superino da parte dei proponenti atteggiamenti di autosufficienza e chiusura, così da poter arrivare ad una legge contro ogni forma di esclusione e discriminazione delle lesbiche, dei gay, dei/delle trans, condivisa in Parlamento e nel Paese, frutto di un reale ascolto e una mediazione alta. Per quanto ci riguarda, oltre a mantenere le nostre riserve su alcune definizioni e su una generale confusione logica, in particolare per quanto attiene alla libertà di pensiero e alla autonomia della scuola, ci attestiamo nel richiedere che “identità di genere” sia modificata con “identità transessuale”».
Un posizionamento non nuovo, in verità, che riduce la visione di tutte le realtà firmatarie – anche per il lessico scelto e le argomentazioni che possiamo leggervi – a retroguardia ideologica della destra radicale del Paese, più vicina alla cultura politica di paesi come Polonia e Ungheria (paesi non proprio benevoli con i diritti delle donne) che ai partiti liberali e conservatori europeisti.
Modifiche che vanno contro l’interesse della comunità LGBT+
Il comunicato continua: «È venuto il momento delle opzioni chiare: o si vuole una legge contro l’omotransfobia preservando la differenza sessuale, l’autonomia delle donne, la tutela del pluralismo del pensiero, oppure si scelgono l’estremismo, la cancellazione dei sessi, degli orientamenti e identità sessuali, per abbracciare un neutralismo, ammantato di contemporaneità, ma che non è altro che la riproposizione del dominio di un sesso, quello maschile». Quando invece sembra che a esser riproposto sia il solito privilegio eterosessuale, a discapito della comunità Lgbt+, che quella legge dovrebbe invece proteggere.