Dopo aver pubblicato la storia di John Galassi, ragazzo gay disabile, tanti lettori e lettrici ci hanno inviato messaggi di sostegno per aver trattato di un tema troppo spesso confinato. Inutile girarci attorno: parlare di disabili, amore e sesso è ancora un radicato tabù.
Abbiamo quindi chiesto ad una nostra lettrice di raccontarci la sua esperienza di amore e disabilità. Ci auguriamo che questa sia solo una delle tante storie da condividere con i nostri lettori, convinti che dare visibilità e far conoscere sia un passo fondamentale per abbattere le barriere del pregiudizio, spesso più robuste di qualsiasi ostacolo architettonico.
A seguire, la storia di Katya che, affiancata dalla sua Silvia, ha ripercorso come è nato il loro amore, anche grazie alla disabilità.
Una vita che prima non c’era
Sedici mesi. Sembrano così pochi rispetto ad una vita intera. Eppure a volte sembra che l’esistenza prima di lei sia il ricordo di qualcun altro. Ora ci sono Katya e Silvia. No, non immaginatevi una di quelle storie dove si diventa succubi dell’altra persona, in cui ci si annulla a vicenda in nome di un rapporto di coppia malato. No, noi siamo rimaste noi. Con i nostri pregi e i nostri difetti, le nostre passioni e le nostre idee, a volte molto simili e altre contrapposte. E con i nostri piccoli e grandi problemi personali.
Non volevo stare sola
Per certi versi, una storia simile a tante altre: «Ci siamo conosciute come molti: grazie alla Rete – ricorda entusiasta Silvia, la mia compagna – È stato un colpo di fulmine, dopo tre giorni di conoscenza online stavamo già insieme». Cosa c’è di strano?, direte voi. Il fatto è che siamo entrambe disabili. «Ormai credevo non fossi fatta per l’amore – prosegue Silvia – non tanto a causa della mia disabilità (ho un’emiparesi spastica), ma per una serie di congiunture: ho superato la quarantina con una mamma invalida al 100% da accudire costantemente e una disaffezione ai rapporti di coppia dal momento che la mia ultima storia risaliva a quindici anni fa. Però c’era sempre quel pungolo: non volevo stare sola».
Pronta a gettarmi nella mischia
Galeotta fu la pagina Facebook di Jump, progetto bolognese dedicato alle persone Lgbt diversamente abili. Da qualche mese ero tornata a casa, dopo un anno e mezzo passato tra il letto di un ospedale e la sedia a rotelle. Dovevo riprendere in mano la mia vita, quella vita che prima della malattia era così dannatamente piena. A quel punto sentivo che ero nuovamente pronta a “gettarmi nella mischia” e tentare, nonostante la situazione non semplice, di trovare una dolce fanciulla disposta a passare l’esistenza con una ragazza che probabilmente non sarà mai più autosufficiente.
Galeotto fu il web
Il nostro rapporto è stato sin da subito improntato sulla sincerità: a lei aveva incuriosito il mio avatar sul social network e, dopo una sbirciatina al mio profilo, arrivò il primo contatto. Ci siamo subito messe a chiacchierare amabilmente, parlando di libri, arte e altri argomenti a noi cari (siamo entrambe scrittrici e amanti della cultura in generale). «Nel profilo, per onestà intellettuale, avevo detto di essere depressa – confessa Silvia – anche se questo avrebbe diminuito di molto, almeno così credevo, le mie possibilità di quella che al tempo poteva quantomeno essere una bella amicizia. Invece questo mio aspetto non ha impaurito la donna meravigliosa che ho accanto».
Abbiamo trovato la nostra metà
Per molte, moltissime ragioni, avremmo potuto farci abbattere dalle varie complicazioni che la nostra relazione metteva in risalto: alla distanza e alla differenza di età bisogna aggiungere le serie difficoltà fisiche e il fatto di essere due donne (cosa che poteva star bene alla mia famiglia, ma decisamente meno a quella di Silvia). Tuttavia, avevamo una certezza incrollabile, una convinzione che non si poteva mettere a tacere neppure se l’intero creato avesse ordito contro di noi: quella di aver trovato la nostra metà.
Credevo di esser priva di pregiudizi…
Infatti, dopo circa un mese di reciproca conoscenza, Silvia prese la macchina per venire a trovarmi, lei che non si era mai messa in autostrada. Anche questo evidentemente un segno di amore. Ma non fu così semplice il primo impatto… Silvia lo ricorda bene: «Avevo paura ma ero anche tanto curiosa. Ora mi sembra assurdo, eppure la cosa che mi fece più effetto fu il suo deambulatore. La mia disabilità è piuttosto lieve rispetto alla sua: cammino senza problemi e con la mia auto modificata vado dappertutto. Credevo di essere priva di pregiudizi, ed invece ecco che ci cascavo in pieno! Tuttavia la mia perplessità è durata solo qualche minuto: lei era lì, ed era esattamente la stessa persona meravigliosa che avevo conosciuto sul web».
Un sacco di argomenti, tra cui il futuro
Da allora abbiamo approfittato di ogni opportunità per stare insieme, e nelle attese tra un incontro e l’altro ci sentiamo quotidianamente per ore intere, discorrendo tra il serio e il faceto. Sì, ci facciamo effettivamente un sacco di risate insieme! Ma parliamo anche di argomenti seri, tra cui il futuro – speriamo non troppo lontano – in cui vivremo sotto lo stesso tetto. «A volte le dico che se non fosse stata disabile non si sarebbe mai messa con me – ammette Silvia – lei prima di ammalarsi era una viaggiatrice instancabile, mentre io sono assolutamente “pantofolaia”. Katya mi risponde che non è così. Sinceramente non so chi abbia ragione e non mi interessa. Sta di fatto che siamo una coppia e stiamo progettando la nostra vita insieme».
Una vita piena e soddisfacente
Io non so cosa pensa la gente quando mi vede o ci vede, se prova pietà o peggio.
Ciò che invece so per certo è di essere una persona felice e realizzata, e questo anche grazie alla mia compagna che, tra l’altro, ora è diventata anche un’ottima partner nelle mie attività, ad esempio come correttrice di bozze per i miei prossimi romanzi e degli articoli che pubblico per la pagina Facebook “Boundless Rainbow Love”. La nostra vita è piena e soddisfacente anche se ogni giorno incontriamo nuove difficoltà da affrontare, che nel mio caso può essere anche un semplice gradino un po’ più alto degli altri. Ma per me è solo un’altra sfida da fronteggiare a testa alta col suo costante appoggio.
Essere grate al proprio destino
Non sarà mai un problema fisico a togliermi la voglia di vivere, di amare e di lottare per i diritti di tutti noi: gay, disabili, umani. Anch’io a volte penso, come Silvia, che se non mi fossi ammalata non ci saremmo conosciute e, in quei momenti, quasi quasi ringrazio il destino crudele che certo mi ha tolto tanto, da una parte, ma mi ha regalato più di quanto avrei mai potuto sognare.
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