Donne che odiano gli uomini (e le trans): l’alba di un nuovo binarismo?

L’estate che sta per concludersi verrà ricordata, nelle cronache giornalistiche e in special mondo dentro il mondo Lgbt, come quella in cui si è registrata la radicalizzazione di una frangia del nostro movimento su posizioni che contraddicono l’appartenenza di quelle realtà al movimento stesso. Mi riferisco alla querelle su Arcilesbica Nazionale che ha animato bacheche e stampa rainbow.

Posizioni omo-misandriche e transfobiche

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Le proteste contro Arcilesbica

Le posizioni dell’ultimo anno e mezzo, da parte di certe realtà (si pensi all’assist dato agli omofobi sulle stepchild adoption) si qualificano come omo-misandriche e transfobiche. Bastava andare in alcuni gruppi sui social per leggere che i maschi in quanto tali sono tutti stupratori potenziali, un uomo perché tale non può parlare, i padri gay (tramite Gpa) sono abominio, le donne gestanti povere stolte incapaci di ragionare autonomamente, le donne trans per via del pene sono soggetti comunque privilegiati per cui non possono accedere agli stessi bagni delle donne biologiche, ecc. Per qualcuno/a, tutto questo, è creare “pensiero critico”. Addirittura, l’unico possibile.

Un binarismo femminista?

Se io, forte del mio essere maschio, utilizzassi il genere come elemento di superiorità – esempio: le donne, in quanto tali, sono tutte potenziali prostitute – e se in virtù di ciò limitassi, alle donne, il diritto di parlare, verrei giustamente bollato come misogino, patriarcale, sessista e via dicendo. Abbiamo dunque un problema: un binarismo che crea una distinzione tra generi al fine di porne uno in condizioni di subalternità. Millenni di storia ci insegnano che le donne sono state le prime vittime di questo giochino. Riproporne le dinamiche mi sembra fallimentare nei confronti della propria storia di femministe, per chi si fregia di titoli siffatti: tutto questo caos per sostituire un binarismo con un altro?

Prendere le posizioni del patriarcato

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Cartello contro la trans-misoginia

Limitare la dignità individuale per ciò che si ha/aveva tra le gambe è un fatto che dovrebbe farci orrore: per millenni questo principio ha determinato i rapporti tra maschile e femminile, creando zone di privilegio e di sottomissione. Applicare la stessa dinamica alle donne Mtf, col pretesto della diversità (che per altro nessuno/a nega), significa comportarsi come coloro che per anni si è detto di voler combattere: i maschi patriarcali, sessisti e misogini. Preoccupante che le istanze di un certo femminismo assomiglino al sistema culturale di questi ultimi. E se qualcuno/a non accetta queste critiche, ricordo l’avallo e la solidarietà di ben noti movimenti ultraclericali rispetto alle polemiche scaturite dalla querelle su Arcilesbica.

Il senso di colpa dei maschi gay

Accanto a questi fenomeni, vedo da parte di diversi maschi omosessuali – anche noti nel mondo Lgbt – una sorta di sottomissione a quelle istanze omo-misandriche. Non so se per convenienza politica (certi riposizionamenti fanno rumore e danno visibilità) o per aver introiettato il senso di colpa dell’appartenere al genere dominante che tanto male ha fatto all’universo femminile. In qualsiasi caso, non credo che il permanere di rapporti di squilibrio (basati sul binarismo maschio-femmina, seppur ribaltato) possa portare a un avanzamento culturale su larga scala.

Dal “dover essere” all’autodeterminazione

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La solidarietà delle Sentinelle ad Arcilesbica

In tutti questi anni ho imparato una cosa a mio giudizio fondamentale: non si può intraprendere nessun percorso – esistenziale, politico, identitario, ecc – se prima non ci si libera dal senso di colpa. Non dobbiamo mai chiedere scusa per ciò che siamo. Dobbiamo, semmai, rispondere dei nostri atti. Dovremmo passare, in altri termini, dall’obbligo al “dover essere” alle infinite possibilità dell’io. Il senso di colpa nasce quando si ha paura di disattendere la proiezione sociale su di noi. L’autodeterminazione, invece, quando si disobbedisce coscientemente ad essa. Pensiamo alla polemica su Gpa e adozioni per gay: in quei settori la genitorialità è ammessa, ma solo a determinate condizioni (l’adozione, ad esempio, che però in Italia non esiste). E questa è sovradeterminazione.

Un soggetto che tace, non è più tale

Temo che quel ramo del femminismo escludente stia tentando di proiettare sui gay, e quindi sulle nostre coscienze, un modo specifico di pensare a noi e di narrarci: ovvero come maschi (che in certi ambienti è di per sé svalutante) e sfruttatori (si veda la rovente polemica sulla Gpa). A tutto questo andrebbe risposto che far tacere un soggetto, in quanto tale, significa porlo in una condizione di subalternità. Il subordinato che parla, invece – magari rivendicando il proprio diritto alla dignità – non è più tale. Forse andrebbe favorita una politica di dialogo, invece dell’obbligo al silenzio “perché tu non sei (come) me”. Nessuno è (come) qualcun altro, a ben vedere. Il rischio di tale approccio sarebbe quello di vivere in un pianeta silenziosissimo.

Disattendere la norma

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Una coppia di padri gay

Patriarcato, maschilismo e sessismo, insomma, sono bruttissime bestie. Lo sanno le donne e lo hanno imparato sulla loro pelle. A causa di questo sistema, la storia delle violenze che hanno dovuto subire è più che millenaria.

Ma lo sanno anche gli uomini: i maschi omosessuali, in primis, che disattendendo il “dover essere” sociale incorrono in sanzioni, perdendo “privilegi”. Lo hanno sperimentato anche quei maschi eterosessuali che disattendono il concetto di norma, per varie ragioni. E magari, questi soggetti si sono interrogati a lungo sul perché la società ha reagito con violenza, rispetto la propria unicità.

Questione trans e femminismo

C’è poi la questione trans, in cui le persone Mtf sperimentano una particolare condizione di crudeltà sociale. E le persone Ftm, che rischiano lo stesso tipo di discriminazioni e scontano maggiormente il prezzo dell’invisibilità imposta dal contesto in cui vivono. Patriarcato, maschilismo e sessismo fanno vittime oltre i tradizionali recinti riconosciuti da un certo tipo di femminismo. Lo stesso “femminismo” che, guarda caso, è misandrico e omo-transfobico e riceve l’avallo di chi poi va ai family day. E che suscita vibranti polemiche all’interno del movimento femminista e della comunità Lgbt. Teniamolo bene a mente, se vogliamo costruire un modello sociale realmente inclusivo di tutte le differenze.

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