Sul “dress code” da pride: chi decide qual è il senso del limite?

Le polemiche relative al Basilicata Pride, a Potenza, per cui un’attivista trans è stata invitata a rivestirsi per non scandalizzare i benpensanti del luogo – come se le marce dell’orgoglio fossero nate per chiedere il permesso di esistere, invece che rivendicare la piena libertà dell’io – ha rinverdito la solita querelle, trita e ritrita, sul dress code da tenere durante la manifestazione e su ciò che dovrebbe essere lecito e ciò che non lo è. La discussione ha investito alcuni ambiti argomentativi che andrebbero analizzati più da vicino, per capirne i limiti e le problematicità argomentative. Limiti che rischiano di fornire armi fondamentali all’avversario politico, per il semplice fatto che se ne sposano le ragioni. Vediamole insieme.

Essere all’altezza delle aspettative sociali?

pride-basilicata

Un momento del pride di Potenza

Un primo ordine di motivazioni riportato dai sostenitori del “rivestiti, non siamo ad uno spogliarello” è, appunto, la necessità di non disturbare l’ipotetico avventore del pride il quale va rassicurato e non scandalizzato. Se ne deduce che l’istituto del pride rischia di essere motivo di scandalo e che noi, per evitare che la famosa casalinga di Voghera o il meno noto idraulico di Policoro restino offesi dallo spettacolo che potremmo offrire, dobbiamo star buoni. Essere all’altezza delle aspettative della maggioranza, insomma. E pazienza per i moti di Stonewall, che quelle aspettative le hanno ribaltate, negandole. Perché erano portatrici di violenze per le persone che non ci si rispecchiavano.

La lezione di Stonewall

Sarebbe curioso sapere se chi dà ragione alla logica del dress code conosce la storia dei moti di Stonewall, da cui tutto ebbe inizio. A cominciare dal quel divieto di indossare più di tre capi non conformi al proprio genere di appartenenza. Il cuore ideologico del pride nasce dal violare questo divieto. Non è un caso che le persone trans siano state le prime a disobbedire. A far nascere la rivolta. Perché su di loro, sul loro apparire, si manifestava il divieto – nato obbedire alla morale imperante – che si traduceva in violenza (leggi: manganellate). Adesso possiamo largamente discutere sulla non opportunità di un atto, rispetto a un contesto. Ma il pride dovrebbe essere il luogo in cui la libertà del sé è celebrata e non certo censurata. Soprattutto se alla base di una nudità può esserci un intento politico.

Quale criterio per misurare il senso del limite?

arresti_stonewall

Persone arrestate allo Stonewall Inn

In questo contesto, i discorsi su cosa è opportuno e cosa non lo è diventano appunto pericolosi. Non solo perché negano le ragioni della nostra storia, ma anche perché sposano le parole del “nemico”. Utilizzare i concetti di chi nega la specificità Lgbt in toto, non aiuta certo a destrutturare lo stigma e i preconcetti che certi soggetti politici alimentano. Anzi. Per non parlare del fatto che non esiste un criterio oggettivo di accettabilità o una scala universalmente riconosciuta che misura il senso del limite. Per me potrebbe essere, ad esempio, un atto penetrativo consumato in pubblico. Per altri un semplice bacio tra persone dello stesso sesso. Per altri ancora la semplice presenza di persone trans, vestite o meno non importa. C’è chi dice, ancora, “giù le mani dai bambini” riferendosi ai genitori omosessuali. Se la censura oggi vale per una trans che fa vedere il seno, domani potrà valere per tutte le altre categorie. Sicuri che sia una strategia vincente?

Corpi e mercificazione

Ho letto, ancora, il discorso sul rispetto per il proprio corpo e per la “mercificazione” che si fa di esso, attraverso l’esibizione della nudità. Discorso abbastanza bizzarro se poi, all’interno della stessa manifestazione, accettiamo ballerini seminudi ammiccanti mentre ci scandalizza il nudo politico. Volendo estremizzare, se l’immagine che si dà di sé coincide con la riduzione a merce del corpo che abitiamo, allora dovremmo riconsiderare tante altre cose: la chirurgia plastica – che assegna un cartellino con un prezzo a zigomi, seni, labbra, contorno occhi, ecc – o i più banali selfie, con cui facciamo promozione di noi stessi/e. Per non parlare dei lavori manuali, che danno un prezzo a quello che il nostro corpo è o non è in grado di fare. E di nuovo, pongo la stessa domanda: è questo che vogliamo? Un’etica bacchettona in cui l’etichetta è più importante dell’identità?

Tra omologazione e uguaglianza

Roma-Pride-2016-parata-4

Pride: eccesso o libertà d’essere?

Nel dibattito che ne è scaturito – con i soliti toni da tifo da stadio e senza la reale volontà di confrontarsi sugli argomenti – si confondono, in altre parole, due piani tra loro molto diversi: l’omologazione e l’uguaglianza. La prima obbedisce a un criterio per cui sei accettabile se sei come ti impone un paradigma dominante. E il paradigma di una società sessista, maschilista e omo-transfobica non credo che possa dare ancora lezioni, men che mai tra le file del nostro movimento. La seconda si raggiunge con la libertà, che non coincide con l’anarchia del decidere, ma con l’autodeterminazione all’interno di regole e contesti definiti. Il pride è anche il luogo della nudità e dell’eccesso. Così come un addio al nubilato o al celibato è il luogo di un certo cattivo gusto, così come uno sciopero è il momento in cui puoi non lavorare, così come una festa per la vittoria ai mondiali è il contesto in cui puoi andare in giro con la faccia dipinta a urlare per strada come un cretino.

Rivedere le priorità

Il fatto che nel 2017 si debba parlare di tutto questo, ancora, dimostra due cose: l’arretratezza della nostra comunità o un eccesso di tempo libero, che ci porta a disquisire di ameni concetti che avrebbero fatto invidia ai panel previsti al concilio di Nicea. In quest’ultimo caso, sarebbe bello e opportuno non avere preoccupazioni tali da poterci permettere di impiegare il nostro tempo in questioni strategiche quali la mise da tenere in piazza. Ma non mi risulta che la situazione in Italia sia tale: abbiamo ancora diversi problemi da affrontare, dalla pienezza dei diritti alla violenza contro le persone Lgbt (trans in primis, ricordo). Sarebbe il caso, insomma, di rivedere le nostre priorità. A me dà più scandalo che una persona in transizione non trovi lavoro perché tale. Non so voi.

Leave a Comment

Inizia a digitare e premi Enter per effettuare una ricerca

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.