Non è una novità: l’Italia, insieme a Polonia e Bulgaria, è l’unico paese europeo a non prevedere l’educazione sessuale e di genere nelle scuole. Una battaglia che va avanti da anni e che potrebbe, finalmente arrivare ad un primo traguardo. O almeno così ha annunciato la ministra Giannini che ha fatto sapere che entro metà ottobre arriveranno le linee guida del ministero per le scuole italiane.
Affidata finora solo alla buona volontà di pochi, alle associazioni o a qualhe accordo tra singoli istituti e Asl locali, l’educazione sessuale e quella di genere sono spesso tabù se non motivo di aspre polemiche specialmente da parte di gruppi di genitori particolarmente rigidi e integralisti, su questo fronte.
“Il lavoro è quasi terminato” ha assicurato la ministra secondo il Corriere della Sera parlando di quello che dovrebbe essere l’effetto pratico dell’adesione dell’Italia alla Convenzione di Istanbul che richiede, appunto, di inserire l’educazione sentimentale nei programmi scolastici.
Le liee guida partono da quanto riportato nel testo della riforma divenuta nota come “La Buon Scuola” che al comma 16 dell’articolo uno recita: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate all’articolo 5, comma 2 del decreto legge 14 agosto 2013, numero 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013 numero 119″.
La legge a cui si riferisce “la buona scuola” parla espressamente di “prevenire il fenomeno della violenza contro le donne” e di “promuovere un’adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere (…) nella programmazione didattica curricolare ed extracurricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l’informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo”.
Da nessuna parte, va detto, si leggono riferimenti espliciti all’educazione al rispetto dei diversi orientamenti sessuali o delle diverse identità di genere che, però, potrebbero rientrare in quel “tutte le discriminazioni” del comma 16. Del resto, fu la stessa ministra, quando lo scorso anno imperversavano in tutta Italia le polemiche sulla cosiddetta “ideologia gender” a parlare di “truffa culturale” e a spiegare che nella sua riforma, di queste presunta ideologia, non vi era alcuna traccia.
Non si tratta, ha precisato la ministra, di introdurre l’ora di educazione sessuale, ma di fare in modo che gli istituti di ogni ordine e grado scelgano in autonomia le attività più idonee, non ultime quelle rivolte al corpo docente, a realizzare il progetto.
Il progetto richiederà il coinvolgimento anche dei genitori e delle associazioni del territorio che si occupano di questi temi. “Se ci fermiamo davanti al tabù, se ci fermiamo davanti alla paura del linguaggio – ha detto la ministra -, ecco che i risultati sono quelli che abbiamo tutti davanti agli occhi“.