Ci sono le principali associazioni LGBTQIA+ italiane, insieme a realtà locali di tutto il Paese. A poco più di un mese dalle elezioni del 25 settembre prossimo hanno messo insieme le rivendicazioni di uguaglianza e diritti per le persone LGBTQIA+ e si rivolgono ai partiti candidati a guidare il Paese.
Un bivio, così le associazioni definiscono il momento che stiamo vivendo. Le strade sono due: o si torna indietro verso il buio, come negli Usa con il diritto all’aborto, o si va avanti sulla “strada dei diritti”. Ed è proprio questo il nome scelto per la piattaforma di rivendicazione.
C’è il matrimonio egualitario, certo, ma c’è anche molto altro. C’è una legge contro i crimini di odio, insieme all’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Ci sono i diritti delle bambine e dei bambini come il riconoscimento alla nascita di entrami i genitori di una coppia same sex. E poi i diritti delle persone intersex, l’accesso alla procreazione medicalmente assistita per le coppie di donne e le donne single, l’adozione, il riconoscimento dell’identità di genere, il no alle terapie riparative.
“Anche in Italia – si legge in una nota – c’è chi vuole riportare indietro l’orologio della storia, ignorando che la strada dei diritti, in tutta Europa, ormai si pone oltre gli schieramenti politici. Lo dimostrano anche i 50 Pride italiani di quest’anno con milioni di persone nelle strade, che oggi si chiedono chi potrà rappresentarli nel prossimo Parlamento”.
“Chi sceglie la strada dei diritti ha inoltre la responsabilità di candidare persone che la sostengano con convinzione, perché troppe leggi negli ultimi 20 anni sono naufragate per mano di chi ha tradito il mandato elettorale. L’Italia – concludono – non può più permettersi di restare l’ultimo tra i Paesi fondatori dell’Unione Europea in tema di uguaglianza dei diritti delle persone LGBTQIA+, sono in gioco i principi di libertà e democrazia sui quali si fonda il nostro Paese”.
Il matrimonio egualitario, dicevamo e la genitorialità. In entrambi i casi non sarebbe altro che l’estensione delle leggi già esistenti anche alle coppie dello stesso genere. Né più, né meno. Ma nella piattaforma si legge anche “riconoscimento dell’identità di genere”, tema strumentalmente usato contro il DDL Zan nella legislatura che sta per chiudersi. Significa, per le associazioni, “una legge per introdurre un procedimento amministrativo di autodeterminazione del nome e del genere di appartenenza”. Un percorso che non tenga conto della scelta, personale e insindacabile, di seguire trattamenti medici, che prescinda da trattamenti medici. E, soprattutto, che elimini la necessità di rivolgersi ad un tribunale. Autodeterminazione è la parola chiave anche per le persone intersex, che da piccolissime vengono sottoposte a interventi chirurgici con i quali i medici e i genitori decidono arbitrariamente se sarà un uomo o una donna. Per loro, le associazioni chiedono il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo. Che poi è quello che prevede una Risoluzione del Parlamento europeo del 2019.
Sono solo alcuni esempi delle richieste delle associazioni. Il testo completo può essere consultato qui: www.lastradadeidiritti.it
Sono 28 le associazioni che firmano la piattaforma di rivendicazione. Tra queste Famiglie Arcobaleno, Arcigay, Agedo, il Mit, Tgenus, Cammini di speranza, il Circolo Mario Mieli, Quore, Arc, Polis Aperta, Rete Lenford e Omphalos LGBTI+. Si tratta sia di associazioni nazionali sia di realtà locali, tutte presenti e organizzatrici dei Pride. L’elenco completo è consultabile a questo link
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