Ho dovuto contare fino a 100, poi fare un respiro profondo e infine fare appello a tutta l’etica professionale che mi è stata insegnata, prima di cominciare a scrivere questa riflessione.
Perché quando ti svegli la domenica mattina e sul feed di Facebook ti appare un titolo che definisce “gigante buono” un uomo che ha ammazzato una donna perché, semplicemente, non era innamorata di lui, le prime 100 parole che ti vengono in mente non sono trascrivibili, sempre per quella questione dell’etica.
La vicenda
La vicenda è, ahinoi, nota. Una coppia (nel senso letterale di due persone, un uomo e una donna) sparisce. Per giorni li cercano senza esito. Poi lui, viene ritrovato e arrestato. E confessa: è stato lui, Massimo, ad uccidere Elisa, forse strangolandola e poi a occultarne il cadavere in un fossato in mezzo ad un bosco del piacentino. Molte ancora le cose da chiarire, ma l’ipotesi di queste ore è che l’omicidio sia avvenuto al culmine di una lite tra i due. Scusate, non un omicidio qualsiasi. Ma un femminicidio. Perché le parole hanno un significato preciso e vanno usate bene. Lui – raccontano tutti – era innamorato, ma non ricambiato.
“Il gigante buono”
Ricapitoliamo: un uomo uccide una donna che non lo ama come lui si aspetterebbe. Chiaro?
E il Giornale che fa? Titola: “Il gigante buono e quell’amore non corrisposto”. Ora uno potrebbe pensare che al titolista sia sfuggito qualche particolare, che non abbia bene capito di cosa si sta parlando. Ma il sottotitolo chiarisce che non è così: Il sospetto del pm: “Non un delitto d’impeto, ma un piano criminale organizzato”. Ricapitoliamo ancora: per Il Giornale uno che organizza un piano criminale per uccidere una donna colpevole (a quanto pare) solo di non essere innamorata di lui, si può definire un “gigante buono”. E il problema è “un amore non corrisposto”.
L’unica vera vittima è Elisa
Non so voi, ma se penso ad un “gigante buono”, nella mia mente si materializzano figure come Babbo Natale o Shrek. E nessuno dei due ammazzerebbe una donna perché non lo ama. Non la solita, insopportabile, idea che una donna debba necessariamente ricambiare le attenzioni di un uomo che, in fondo, era solo innamorato. Attenzioni che Elisa, che ricordiamo è l’unica vera vittima in questa storia, non voleva ricambiare. Legittimamente. Un’amica della 28enne ha scritto una lettera al Corriere della Sera in cui dice: “Non è mai stata innamorata di lui, lo so per certo, e gliel’ha anche detto chiaro. Gli ha detto che provava interesse solo per le donne“.
Assecondare la narrazione tossica
Lei glielo aveva detto. E nonostante questo, lui ha detto ai carabinieri: “Ero ossessionato da lei”. Il che aggiunge alla vicenda anche una componente di omofobia: non solo l’uomo non accettava il rifiuto, ma neanche sopportava l’idea che il rifiuto potesse essere dettato (anche) dall’omosessualità di lei. Ora, direte voi, pare che la definizione di “gigante buono” venga da alcuni concittadini dell’assassino. Così riportano diversi giornali, almeno. Ma nel momento in cui una testata, quale che sia, la fa propria riportandola in un titolo senza neanche virgolettarla, sta evidentemente assecondando quella narrazione. La solita narrazione tossica in cui, infondo, se solo lei avesse ceduto alle avances di lui adesso sarebbe viva. Quella irresistibile tentazione di dare alla vittima almeno una parte della violenza subita. Facendole, così, un’altra violenza.
Non riconoscere il femminicidio
Ve lo immaginate un titolo su Totò Riina che recita più o meno così: “Un benefattore e quelle leggi troppo rigide”? Succederebbe un putiferio, giustamente. Perché sebbene chiacchierando con qualcuno potreste avere questa definizione del boss mafioso, questo non ha mai assunto la dignità di un titolo. Il motivo è semplice quanto banale: è universalmente riconosciuto che un mafioso sia un delinquente da cui prendere le distanze. Non è, invece, altrettanto universalmente riconosciuto che un uomo che uccide una donna che lo rifiuta sia un criminale femminicida senza giustificazione alcuna.
I numeri della violenza sulle donne
Non è riconosciuto in un paese in cui nei primi tre mesi dell’anno sono state uccise 13 donne, tutte ammazzate da ex mariti o compagni. Non è riconosciuto in un paese in cui 6 milioni e 788 mila donne hanno subito violenza fisica o sessuale (il 31,5%), in cui 1 milione e 157 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri, perpetrati per la maggior parte da partner o ex partner. Non è universalmente riconosciuto che questo paese ha un problema di maschilismo e discriminazione di genere talmente radicato nella cultura condivisa che un giornale può permettersi di titolare “Il gigante buono e un amore non corrisposto”.
Elisa è morta e non può parlare
Chissà come lo definirebbe Elisa, quell’uomo. Ma Elisa è morta, non può parlare, non può difendersi, non può dire come fosse, davvero, quel gigante. Per lei, però, possiamo e dobbiamo dirlo noi. Al Giornale, che ancora una volta pubblica un titolo osceno senza vergognarsene neanche un po’, dovrebbe parlare solo l’Ordine dei Giornalisti. Una volta e per tutte.