Ho già parlato di Caterina, l’attivista trans scomparsa lo scorso aprile. Una cosa sulla quale forse non mi sono soffermato, era la sua generosità. Mi ricordo un episodio, in merito. Una volta eravamo in associazione, l’Open Mind di Catania, e si stava attraversando un periodo molto difficile: una sera, ad una riunione crudele, tra qualche urlo e silenzi pesanti, lei arrivò con due crostate, prese dal fornaio lì vicino. Ci prese, a me e ad altri ragazzi (i più giovani, in verità), e ci portò “in regia”. Era una stanzetta minuscola, dove avevamo il computer e il telefono. Tagliò i dolci, in rombi piccoli, perché tutti ne potessimo mangiare. Era il suo modo di “addolcire” la tensione. Disse una delle sue oscenità, in dialetto. E i suoi occhi, subito dopo, si fecero benevoli.
Caterina, attivista trans
Ho deciso di parlare di nuovo di lei per quanto è stato pubblicato sulla pagina del Movimento di Identità Trans, giorni fa, in occasione del pride di Bologna: «Caterina ha fatto il regalo più bello e inaspettato al MIT. Una trans fiera, orgogliosa con quella dignità altissima che l’ha fatta camminare sempre a testa alta nonostante le sue condizioni di vita, come quelle di tantissime persone trans» possiamo leggere. E ancora: «Caterina viveva alla giornata, non aveva gioielli o possedimenti ma era comunque ricchissima di dignità e fierezza. Dopo anni di attesa le è stata riconosciuta la sua disabilità, e di conseguenza anche gli arretrati, poco prima di partire per il suo ultimo viaggio. Ha ritenuto opportuno lasciare quella somma al MIT perché vedeva in noi la realtà a lei più vicina».
Caterina era una persona che ha vissuto sul filo, come si suol dire, per moltissimo tempo. Aveva poco, ma questo non le impediva di avere una dignità profonda. E, soprattutto, non le impediva di condividere ogni qual volta poteva permetterselo. Anche quando veniva a casa, per il pranzo o il caffè del pomeriggio, se riceveva un regalo – ricordo il panettone, per le feste natalizie – lo portava, per condividerlo. Era il suo modo di crearsi una famiglia. E il suo ultimo regalo, Caterina, lo ha fatto in direzione di una scelta politica forte: «Gli 8000 euro che ci ha lasciato» si apprende «serviranno alla sistemazione della casa alloggio per rifugiati che il MIT dedicherà a lei».
È bello pensare che la sua generosità non resterà solo nella nostalgia o nei ricordi, ma diventerà anche occasione di speranza nuova. Una fetta di futuro, in altri termini. È bello pensare che la sua vita, che ora non c’è più, darà un nuovo seguito e nuovi sogni a chi – purtroppo – un giorno penserà di essere abbandonato/a da tutto e tutti. Credo che fare attivismo significhi dedicare il proprio tempo alla vita degli altri, per renderla migliore. Essere grandi attiviste, invece, significa lasciare il segno. E parlo di una “grandezza” lontana dal clamore e dalla ribalta. Lei, Caterina, ci è di esempio in questo.
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