Lascia l’amaro in bocca la cosiddetta fase 2, enucleata nei suoi principi fondamentali dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E non certo perché si credeva di tornare alla vita di sempre, ma per alcune implicazioni e le conseguenti ricadute sulle nostre vite che sembrano più legate a vincoli di burocrazia che a beneficio della comunità tutta. Il decreto, infatti, sembra seguire rigidamente un impianto familista di cui non si sentiva affatto il bisogno. E non certo per una questione di principio, ma perché è altro la società rispetto a quella lettura. Per capire meglio di cosa si sta parlando, sarà utile riportare le parole dell’ex senatore Sergio Lo Giudice, che dice cose largamente condivisibili sul suo profilo Facebook.
Un allentamento delle misure, con un grosso “ma”
«Congiunti, cioè consanguinei, oppure legati da un rapporto giuridico. Il DPCM annunciato stasera da Giuseppe Conte apre questa maglia nella fitta rete di limitazioni negli spostamenti degli italiani», così l’ex parlamentare del Pd, nonché papà arcobaleno. «Dal 4 maggio fare visita a nonni, fratelli, zii e nipoti sarà annoverato fra le motivazioni idonee ad uscire di casa. Ma ci sono tanti ma. Tante relazioni forti, familiari, non rientrano in questa categoria. Il caso che brucia di più è quello di qualche migliaio di bambini a cui la legge non riconosce il rapporto di filiazione con la seconda mamma o il secondo papá, il “genitore sociale”».
Fase 2: i problemi per le famiglie arcobaleno
«Molte famiglie arcobaleno, fra cui la mia, hanno risolto – in parte – il problema ottenendo l’adozione da un Tribunale». Ma, continua Lo giudice, «non tutti i Tribunali italiani si muovono allo stesso modo». Infatti, «in particolare, le coppie lesbiche o gay separate senza il doppio riconoscimento genitoriale già da settimane sfidano decreti e ordinanze per vedere i propri figli, portarseli a casa, svolgere il loro ruolo di genitori. Poi ci sono i nonni e gli zii di questi stessi bambini, riconosciuti attraverso un’adozione particolare che riguarda solo il nuovo (per la legge) genitore, ma non il suo asse familiare».
Il nodo degli affetti non familiari
E non solo famiglie omogenitoriali. «C’è poi la situazione di tanti e tanti giovani che sono stati cacciati da casa per via della loro omosessualità». Ragazze e ragazzi «che si sono rifatti altrove una vita e delle relazioni affettive forti, familiari ma senza vincoli di sangue. E poi c’è il fenomeno, più generale, di uno spostamento superiore alla media di giovani Lgbti dal sud al nord, dalla provincia alle grandi città, in cerca di un’accoglienza sociale che nella città o nel paesino natio non c’era stata e che nella nuova città – come tanti altri italiani – hanno costruito nuove relazioni di tipo familiare».
Scelte che non rispettano la qualità delle relazioni sociali
«Parlo di questo spaccato d’Italia, ma ce ne sono tanti altri che mostrano che non sono in sé il sangue né il vincolo giuridico a costituire una famiglia, ma una libera scelta affettiva». È un’analisi lucida, quella dell’ex senatore, che tiene in considerazione una composizione sociale molto più dinamica e attuale, rispetto a quella delineata dagli esperti a cui si è affidato il governo. «“È l’amore che crea una famiglia” recita il motto di Famiglie Arcobaleno. Se questo è vero» prosegue Lo Giudice, «allora sarebbe bene che i provvedimenti del Governo intervenissero sulla quantità delle relazioni sociali consentite dall’emergenza sanitaria, senza esprimere un’implicita valutazione sulla loro qualità».
La fase 2 e il rischio di tornare indietro
Ed identifica, nella sua conclusione, quello che è il rischio di questa ulteriore stretta sulle nostre esistenze: «Guai» ammonisce Lo Giudice «se le misure, oggi necessarie, di contenimento dei rapporti umani si trascinassero dietro improprie connotazioni etiche. Guai se la temporanea perdita di libertà a cui tutte e tutti responsabilmente ci stiamo sottoponendo lasciasse in eredità , finita l’emergenza, un abbassamento del livello di civiltà giuridica e di consapevolezza sociale a cui a fatica eravamo arrivati prima della guerra al virus».