Più che un concertone, un terremoto. L’intervento di ieri di Fedez ha centrato in un colpo solo almeno tre obiettivi: 1) ha rimesso al centro del dibattito la legge Zan, che troppi ritardi ha subito a causa dell’ostruzionismo leghista; 2) ha ricordato al grande pubblico la natura politica di un partito come la Lega, in cui troppo spesso dirigenti e figure apicali hanno dato prova di un linguaggio omofobico e violento; 3) ha scoperchiato l’ipocrisia di un servizio pubblico, la Rai, che affonda sempre più nel pantano delle lottizzazioni partitiche. Ma andiamo, come di consueto, per ordine.
In primis, i fatti: Fedez denuncia che la Rai gli ha chiesto di poter leggere il testo del suo intervento, prima di salire sul palco del Concertone del Primo maggio. Secondo il cantante, i dirigenti Rai hanno cercato di censurarlo. Nel suo discorso ci sono troppi nomi, tutti della Lega o di simpatizzanti dell’area politica dell’ultradestra. I vertici gli chiedono di omettere i nomi. E di adeguarsi “al sistema”. Fedez si ribella e alla fine la spunta. La Rai, dopo la denuncia del cantante, manda una nota in cui smentisce di aver esercitato pressioni.
Fedez allora, pubblica un video della telefonata con i dirigenti Rai e i responsabili del Concertone, che si riporta qui di seguito (l’articolo continua dopo il video):
La Rai ha diramato dunque un secondo comunicato, in cui afferma che quanto si vede «non corrisponde integralmente a quanto riportato, essendo stati operati dei tagli». E precisa che le parole della vicedirettrice sono le seguenti: «Mi scusi Fedez, sono Ilaria Capitani, vicedirettrice di Rai 3, la Rai non ha proprio alcuna censura da fare. Nel senso che la Rai fa un acquisto di diritti e ripresa, quindi la Rai non è responsabile né della sua presenza, ci mancherebbe altro, né di quello che lei dirà. Ci tengo a sottolinearle che la Rai non ha assolutamente una censura, ok? Non è questo [?] Dopodiché io ritengo inopportuno il contesto, ma questa è una cosa sua». Anche a questo il cantante ha risposto, nelle sue storie di Instagram, pubblicando l’audio dello stralcio della conversazione con Capitani. E mettendo a disposizione della Rai il video integrale.
Di fatto dopo la pubblicazione del video si è scatenato un vero e proprio terremoto: basta scorrere i social per constatare la (giusta) indignazione di chi disapprova la condotta dei vertici Rai. Ma tornando alle tre questioni di partenza, l’intervento ti Fedez ha un pregio indiscutibile: aver posto al centro del dibattito pubblico non solo la necessità della legge Zan, ma anche i tentativi di affossarla da parte della Lega e la vera natura dell’identità politica di questo partito. Partito i cui rappresentanti non sono nuovi a posizioni contrarie ai diritti delle persone Lgbt+ e ad affermazioni gravi e violente. Fedez, direbbe qualcuno, ha fatto nomi e cognomi. E il re – o, meglio ancora, il suo partito – è nudo.
Ricordiamo che quella del Concertone è una ribalta politicamente connotata. Quel palco non è un luogo in cui ci “sono solo canzonette”, ma uno spazio specifico in un momento simbolico importante: lì si va a parlare di diritti e democrazia. Partendo dalla centralità del lavoro – che è il cuore ideologico dell’articolo 1 della nostra Costituzione – per allargare il respiro su molte altre questioni. Il concertone del Primo maggio è dunque una piazza politica. Si parla di temi politici. E di diritti. L’intervento di Fedez è in armonia con quella piazza e ciò che rappresenta. Questo per dare una risposta alla vicedirettrice, che reputa certe affermazioni “fuori contesto”. E non solo a lei.
Il Concertone è di parte. E non potrebbe essere diversamente. È di parte nella misura in cui lo è l’atto fondativo della nostra società: la Repubblica, nata dalla lotta partigiana. Una repubblica con una Costituzione che è la negazione di una visione sociale specifica: il fascismo. E che ne propone un’altra, quella basato sullo Stato di diritto. Secondo lo stato di diritto, tutte le voci hanno diritto di rappresentanza. Questo per rispondere a Matteo Salvini che, punto sul vivo, sproloquia sull’opportunità di certi interventi nella tv di Stato: «Il concertone costa circa 500.000 euro agli italiani, a tutti gli italiani, quindi i comizi “de sinistra” sarebbero fuori luogo». Così ha dichiarato il leader leghista. Eppure proprio nella Tv di Stato quei comizi hanno piena cittadinanza. Perché tra chi paga il canone, ci sono moltissime persone che la pensano come Fedez e hanno dunque il diritto di sentirsi rappresentate. Chi non è d’accordo può benissimo spegnere il televisore. Democrazia non è zittire i punti di vista che non ci piacciono, ma garantire l’accesso alla pluralità delle voci in campo. Vale la pena aggiungere che Fedez ha dichiarato di essersi esibito gratuitamente e di avere pagato di tasca sua i suoi musicisti. Notizia che pare avere dei riscontri. Quindi, tecnicamente, l’esibizione del cantante non è costata un euro ai contribuenti.
Che il leader della Lega finga di non sapere cosa significhi vivere in una democrazia, non stupisce. Anzi, allarma. Ci si chiede: è questa l’idea di società che ha il suo partito? Quella di un Paese in cui se non la pensi come chi ti governa subisci censure e cancellazione? Perché questa storia l’abbiamo già vista e, come si diceva poc’anzi, la nostra Costituzione prende parte proprio contro tale visione della società. Il fatto che i dirigenti Rai – e voci a seguito – si mostrino più realisti del re, parlando di frasi inopportune e fuori contesto, aiuta a creare un clima di intolleranza verso le voci di dissenso. E questo è intollerabile, per un servizio che si definisce “pubblico” e che si vanta di essere la tv di riferimento di un’intera nazione. È intollerabile non solo perché quelle parole rischiano di ottenere l’effetto di una pressione politica, per quanto non voluta, ma perché si configurano come un attacco ad un luogo (il Concertone) in un momento simbolico (il Primo maggio).
Concludo con una piccola postilla, sulle polemiche che stanno investendo Fedez in riferimento a certe sue frasi contro Tiziano Ferro e al testo di una canzone, per cui venne accusato di omo-transfobia. Fedez non è un attivista politico, ma un cantante. Come chiunque, può scivolare su questioni molto delicate. Ed essere giustamente criticato per questo. In queste ore, anche dentro la nostra comunità, c’è chi lo inchioda a quegli episodi. Non credo che sia il caso di elevare Fedez a nuova icona Lgbt+, così come non è il caso di demonizzarlo per posizioni passate. Nella vita si può cambiare e si può tornare indietro su certi errori. Diamo il beneficio del dubbio a un cantante che ha sposato una causa. Se un domani dovesse sbagliare ancora, lo si richiamerà al senso di responsabilità. Per adesso ha preso posizione, più volte, rispetto a una battaglia di civiltà. Non è Fedez che parla e denuncia, il problema. Sono semmai quei personaggi dello star system che, pur essendo parte in causa, continuano a rimanere in silenzio. Quando sarebbe l’ora di gridare.
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