Il Pride è “divisivo”, quindi niente patrocinio. Il Family Day invece, no, non è divisivo, quindi si può illuminare di nuovo il Pirellone con la conseguente scritta. Le donne in politica? Non vogliono emergere, non hanno voglia di impegnarsi: non sono gli uomini che le relegano a posti marginali.
Non siamo impazziti improvvisamente. Quella che avete appena letto è la sintesi di quanto ha dichiarato il leghista Attilio Fontana a Lettera 43. Neo-eletto presidente della Regione Lombardia, si è insediato solo 10 giorni fa. Nella sua giunta, appena 5 donne su 16 assessori perché, spiega a Samuele Cafasso, “non ne ho trovate, ho trovato tanti uomini che mi davano sicuramente delle garanzie”. In tutta la Lombardia, non ci sono almeno 8 donne capaci e preparate, degne di entrare nella sua giunta. Chissà che ne pensano le donne lombarde. Ma non è tutto.
Davanti alla possibilità che, in base alle regole sulla rappresentanza di genere, potrebbero esserci ricorsi, Fontana spiega che “il primo ricorso andrebbe fatto contro il popolo lombardo. Le donne, che nelle liste erano in numero uguale agli uomini, purtroppo non sono state elette, se non nella misura del 18%”.
Colpa degli elettori, non sua. Che, però, poteva scegliere per la giunta anche donne non elette al consiglio regionale. Ma l’abbiamo detto: non ce ne sono.
E insiste, il presidente. “C’è anche la possibilità le donne si interessino un po’ meno – spiega -, per cui molte che vengono messe in lista non hanno una grande volontà di impegnarsi, di emergere. Io sono un grande sostenitore dell’importanza delle donne, nella mia segreteria sono tutte donne. Però ci sono dei casi in cui la donna deve essere scelta perché è un valore aggiunto, non per obbligo”. Insomma, colpa degli elettori, ma anche un po’ di queste sfaticate che non vogliono emergere.
E poi ci sono il Pride e il Family Day, temi che per la giunta Maroni hanno significato polemiche e prese di posizione nette a favore del secondo e contro il primo.
Del resto, spiega Fontana, “non l’ho dato a Varese e non credo lo daremo nemmeno qui. Ma ne dobbiamo parlare con gli alleati”. Non fa una piega.
E continua: “Io credo che sia una manifestazione divisiva e che quando le manifestazioni sono divisive non sono mai da sostenere. Io sono eterosessuale, ma non è che faccio una manifestazione per accreditare la mia eterosessualità. Le scelte in questo campo devono rimanere personali, sbandierarle è sbagliato”. Quindi Fontana ha scelto di essere eterosessuale. Volendo, è una notizia. Ma ci permettiamo di suggerirgli di leggere il nostro prontuario, prima di negare il patrocinio ai prossimi Pride lombardi. Giusto per aggiornare il repertorio delle motivazioni incredibili ma vere da dare, ecco.
Quando Cafasso gli fa notare che il Family Day non è stato meno divisivo, il neopresidente risponde: “La famiglia rappresenta uno dei principali punti di riferimento del programma dell’amministrazione precedente e di questa. È una scelta politica quella”. Quindi lo ammette: è una scelta politica. E lo è anche non patrocinare il Pride: si chiama logica. Ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da un rappresentante della Lega? No, chiaro. Ma le conferme sono importanti. E poi, chissà che nel frattempo non fosse stato folgorato sulla via del Pirellone. E invece non è successo. Tant’è che conferma che in caso di nuovo Family Day, il palazzo della Regione avrà di nuovo la scritta illuminata per celebrarlo. “Non credo sia una scelta divisiva – spiega -. Tutti riconoscono il valore della famiglia. È nella Costituzione, è uno dei fondamenti della nostra civiltà”. E anche per i prossimi 5 anni, la Lombardia è destinata al buio della negazione dei diritti civili. E con l’aria che tira dalle parti di Palazzo Chigi, potrebbe essere in buona compagnia.
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