In prigione da tre a sei anni, oltre ad una multa che può variare da ottocentomila a un milione di euro. È quanto prevede un nuovo disegno di legge che mira a punire il “turismo riproduttivo”, ovvero «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità». Il nuovo ddl è stato presentato in Senato da Simone Pillon e prevede, inoltre, il «divieto di iscrizione o trascrizione di atti di nascita dai quali risultino due padri o due madri».
Le parole di Pillon contro i padri arcobaleno
«L’utero in affitto è uno schifo, una delle peggiori forme di violenza contro le donne, come peraltro riconosciuto anche dal Senato nella mozione adottata in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne» ha dichiarato l’esponente leghista ad AdnKronos, proveniente dalla galassia del Family day. «Non si possono comprare, affittare e nemmeno regalare né le donne né tantomeno i bambini. La legge italiana già punisce con la reclusione questo abominevole delitto, ma qualcuno che si crede più furbo va a comprarsi impunemente i bambini all’estero, affittando l’utero di povere ragazze straniere».
Il paragone con la prostituzione e la pedofilia
Sempre ad AdnKronos Pillon ricorda che già in passato il parlamento ha legiferato contro altri crimini, compiuti all’estero, come la prostituzione minorile e gli atti di pedofilia. Adesso, il cerchio si stringe attorno ai padri e alle madri dello stesso sesso. Soprattutto contro i primi, che per poter avere prole sono costretti – in assenza di una normativa italiana su adozione e genitorialità – a recarsi all’estero, specialmente in Canada e California, dove tuttavia non si assiste a nessuna compravendita di bambini e alcuno sfruttamento delle gestanti.
Il precedente: l’emendamento del Pd sulle unioni civili
Non è la prima volta che in Italia si invoca la galera per quei padri gay che vanno all’estero a procreare. Già ai tempi della legge sulle unioni civili, il senatore del Pd Gianpiero Dalla Zuanna aveva presentato un vergognoso emendamento che prefigurava il carcere per chi accedeva alle tecniche di maternità per altri e altre. Il testo dell’emendamento non era molto dissimile: «Chiunque, al fine di accedere allo stato di madre o di padre, fruisce della pratica di surrogazione della maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da seicentomila a un milione di euro». Pene ancor più severe per «chiunque organizza, favorisce o pubblicizza la pratica di surrogazione della maternità».
Il fuoco amico dentro la comunità Lgbt
E non solo. La narrazione contro la Gpa è stata portata avanti per molto tempo – già durante il dibattito sulle unioni civili – da molte realtà “al femminile”, lesbiche e non. Oltre che da alcuni sodali (per quanto ininfluenti e isolati) all’interno della comunità dei gay maschi. Una narrazione che, esattamente come quella utilizzata da Pillon, parla di “utero in affitto”. Che riduce le gestanti a donne incapaci di scegliere il loro destino riproduttivo. E i padri gay come compratori di bambini e i loro figli come merce. Un cerchio che parte dal 2015, ma che ha radici più antiche. E che ebbe come primo risultato l’espunzione delle stepchild adoption dalla cosiddetta legge Cirinnà. Altri frutti, è evidente, stanno arrivando.