I recenti fatti di cronaca hanno raccontato la storia di un ragazzo, appena diciottenne, che ha deciso di togliersi la vita dopo essere stato vittima di episodi di bullismo a scuola e di maltrattamenti da parte dei genitori subito dopo il coming out. Di nuovo a farne le spese è un adolescente, ancora apparentemente troppo fragile nel riuscire ad affrontare le difficoltà che si celano dietro giudizi e pre-giudizi della società nonché della sua stessa famiglia. Forse ancora troppo “piccolo” cognitivamente per divincolarsi da alcuni retaggi sociali, in cui l’esperienza emotiva è troppo forte e difficile da gestire, una sensibilità che è stata sicuramente fraintesa senza irrompere in tentativi sciocchi, ma talvolta salvifichi di ostentazione della diversità per l’affermazione di se stessi, della propria diversità. Una situazione molto più complessa di un semplice coming out come motivo di suicidio, ma sicuramente può essere considerata la goccia che ha fatto traboccare un vaso fragile, già colmo di vissuti emotivi forti quali maltrattamenti, disattenzioni, mancanze e rifiuti, anche genitoriali.
Cosa significa fare coming out? Coming out deriva dall’espressione inglese “to come out of the closet” cioè “uscire fuori dall’armadio” e corrisponde al momento in cui un individuo sceglie, volontariamente, di rivelare la propria omosessualità alla propria cerchia familiare e sociale (contrariamente all’outing che corrisponde allo svelamento pubblico dell’omosessualità di una persona contro la sua volontà). La rivelazione della propria omosessualità ai propri genitori costituisce per i gay una tappa fondamentale, un gesto necessario al benessere psicologico personale per poter vivere liberamente ed apertamente ciò che sono (Cass, 1979). Il coming out è, però, una che lo vivono come una rottura, con un prima e dopo. Esiste, dunque un tappa importante anche per molti genitori,coming out “familiare”? “Mamma, devo confessarti una cosa: sono omosessuale e innamorato!”. Un ciclone mi scuote, lasciandomi annientata, disperata, senza forze. C. Gréco – “Uscire allo scoperto” come omosessuale non è un atto solo dell’individuo omosessuale, ma un processo interattivo che comporta la “crisi” di un equilibrio di un sistema familiare e che comporta una modifica in quello stesso equilibrio, nelle relazioni interne e nei rapporti con l’esterno.
Il nucleo familiare è il “luogo” più delicato entro cui dichiararsi. Secondo Chiari e Borghi (2009) il coming out è una fase delicatissima di tutta la famiglia, perché spinge ciascun membro a rivedere atteggiamenti e convinzioni muovendo il “sistema” famiglia a mettere in atto strategie di risoluzione in base alle proprie risorse per non sentirsi “malata”. Talvolta viene considerato come un proprio lutto con l’instaurazione di un conseguente clima di silenzio. Si tratta di ri-definirsi come famiglia con un figlio omosessuale, che ha subito la “perdita del figlio sperato”, evocando paure più grandi quali quelle di non essere più all’altezza di un ruolo genitoriale di guida per il proprio figlio/a o, altresì, di sentirsi “portatori” di qualcosa di “diverso” o “malato”. Anche il percorso genitoriale, cosi come per il coming out, si può strutturare in fasi. Dapprima vi è una reazione di rifiuto (i) cui seguono modalità iper-controllanti o di ricatto morale sul figlio omosessuale percepito come piccolo o non autonomo; successivamente vi è la fase di rimozione (ii) in cui parlare dell’omosessualità del proprio figlio diviene un tabù, nutrendo speranze in un periodo transitorio che passerà presto; subentra poi la sopportazione e la tolleranza (iii) che anticipa l’ultima fase di accettazione (iv) dell’omosessualità del proprio figlio che diviene “integrata” all’interno del nucleo familiare e per questo non più preponderante. Il genitore che arriva a tale fase diviene una risorsa per il figlio/a omosessuale, riuscendo a sostenerli nel loro cammino di integrazione familiare e sociale (Montano, 2000; Dall’Orto, 2015).
Eppure il coming out familiare può essere visto anche come un momento di cambiamento positivo: infatti potrebbe avviare una nuova modalità di comunicazione genitori-figli fino ad allora basata su bugie e fraintendimenti, favorendo nuove modalità relazionali, atteggiamenti di empatia e comprensione, un dialogo costruttivo che permetta a tutti di ascoltare ed apprendere in un processo di crescita familiare che porti ad un nuovo equilibrio di rispetto per un “nuovo adulto” capace di affermare se stesso.