Lo spettro del gender, che da due anni e mezzo sembra aleggiare in ogni luogo, è riuscito a infiltrarsi anche a “Tempo di Libri”, la fiera dell’editoria conclusasi a Milano lo scorso 23 aprile. Ad occuparsene due delle più attente osservatrici che lo hanno trattato di recente. La docente della Sorbonne e filosofa morale Michela Marzano e la bioeticista Chiara Lalli.
Sul gender “frasi deliranti”
Le due scrittrici disquisiscono, moderate dalla critica culturale del Manifesto Alessandra Pigliaru, delle molte questioni, rigorosamente plurali, legate a questo tema. Sottolineano, prima di tutto, che il dibattito italiano ha usato frasi “deliranti” di cui la nozione volutamente terrorizzante e nebulosa di “gender” è il più vistoso esempio. Il “genere”, invece, cioè la definizione italiana che è opportuno usare, identifica qualcosa di diverso. Infatti, affermano le due, “non è soltanto una costruzione sociale, ma anche una norma, i cui trasgressori hanno visto risultati rovinosi”. Non si tratta che dello stesso meccanismo utilizzato quando si è combattuto per i diritti delle donne: molte voci istituzionali facevano leva sulla paura per mantenere una norma posticcia.
L’ordine naturale
Non è una novità neanche l’uso del concetto di “ordine naturale delle cose” che, chiarisce Lalli, non è che un assurdo. In primo luogo perché il concetto di natura può avere infiniti significati, e poi perché anche la natura intesa come biologia mostra un enorme quantità di varietà. Le stesse varietà che si accusa i presunti “teorici gender” di voler eliminare. Una accusa che le autrici di “Mamma papà e gender” e di “Tutti pazzi per il gender” respingono con decisione. Il loro intento, invece, è quello non di cancellare le differenze, ma di fornire una descrizione precisa di ciascuna di esse, di dare strumenti precisi di comprensione.
Uno studio accurato che la politica quotidianamente ignora, utilizzando frasi come quelle di Paola Binetti, simili a: “Sono inutili le unioni civili se i gay possono cambiare sesso e sposarsi”, dimostrando di ignorare completamente la differenza fra identità di genere e orientamento, ovvero uno dei punti cardine degli studi di genere.
Il precedente della Francia
Un metodo di polemica di cui però è inutile stupirsi, annota Marzano. Dal suo punto di vista di docente a Parigi ha infatti potuto notare che in Francia si è verificato esattamente allo stesso modo quando Holland ha deciso di mantenere la parola data agli elettori sul “Matrimonio per tutti”. La differenza con l’Italia però, secondo la filosofa, è che la legge non è stata modificata dagli umori della piazza, mentre nel nostro Paese è stato soprattutto questo a farne una legge che ha “sancito una disuguaglianza”. L’esempio più vistoso è stato l’eliminazione metodica della parola “famiglia”. L’obbligo a usare un altro termine ci rende “incapaci di definire le cose”, e lascia dentro alle parole lo spazio a chi è interessato a generare confusione.
L’interpretazione della Costituzione
Questo avviene anche con le parole già divenute legge. Si è spesso fatto leva, per non riconoscere diritti alle famiglie arcobaleno, all’articolo 29. Lo si leggeva però fermandosi alla dicitura “società naturale” nel senso di incontro biologico e riproduttivo fra maschio e femmina. Ci si dimentica il riferimento “fondata sul matrimonio” che è un istituto umano, legale, non biologico. Un controsenso? Un errore della Costituente? No, perché – chiariscono le relatrici – il compito di chi ha scritto la Costituzione, uscito da vent’anni di fascismo, non era discriminare, bensì impedire che lo Stato imponesse il proprio sguardo sul privato dei cittadini.
Oltre la biologia
Anche l’unione fra maschio e femmina – spiegano – non va intesa biologicamente. È invece una compresenza di ruoli, di funzioni definite non dalle cellule sessuate, bensì da un compito di accudimento e uno di definizione di limiti che si assumono nel momento in cui si decide di crescere un figlio. Si deve tornare – lontani da qualsiasi accusa di volerle eliminare, parlando di genitore 1 e 2 – a considerare quello di genitore come il ruolo importante, al di fuori dell’identità di genere, “tornare a un simbolico”. È questo a contare, sintetizzano, anziché una “natura” vista come impositiva che non è che la stessa per la quale esistono le malattie che ogni giorno combattiamo “con artificialissime medicine”.