Nonostante l’approvazione della legge sulle unioni civili in Italia, alcune persone omosessuali, gay e lesbiche, sono “rimaste indietro”: le famiglie omogenitoriali che dopo lo stralcio della stepchild adoption continuano a sentirsi ostacolate e boicottate nel diritto di costituire un nucleo famigliare e che si vedono ignorare anche in situazioni già esistenti. Con “omogenitorialità”, neologismo nato nel 1997 si intendono tutte quelle situazioni familiari nelle quali almeno un adulto, che si definisce omosessuale è il genitore di almeno un bambino (Gross M., L’Homoparentalité, 2003) all’interno della nuova famiglia costituita. L’omogenitorialità va oltre il desiderio (lecito) di maternità e paternità nei gay e nelle lesbiche, estendendosi anche alla responsabilità materna e paterna di tutti quegli omosessuali verso i loro figli avuti dalle proprie relazioni eterosessuali precedenti.
Gli stereotipi più forti e comuni riguardo il tema dell’omogenitorialità sono diversi e ruotano principalmente intorno ad una cultura eterosessista e talvolta omofoba che non integra neanche la possibilità che una coppia gay o lesbica si trovi a crescere un figlio. In questa cornice si è portati velocemente a pensare che i figli devono avere una madre ed un padre, che la coppia omosessuale non abbia fatto i conti con il limite che la propria condizione impone, che i “modelli” genitoriali non siano quelli naturali. Altresì alcuni pregiudizi legano ancora l’omosessualità ad una condizione patologica che non permetterebbe di allevare figli sani che, contrariamente, crescerebbero “deviati”. L’immaginario collettivo considera ancora gli omosessuali inadatti alla genitorialità perché due madri sarebbero meno materne di altre donne e che i gay vivrebbero unicamente di promiscuità nelle relazioni, non garantendo stabilità ai figli. Infine, vi è lo stereotipo che i figli di genitori omosessuali diventerebbero omosessuali a loro volta, in quanto apprenderebbero quel modello genitoriale.
Tali pregiudizi e posizioni difensive sembrano non tenere conto né del fatto che l’omosessualità sia stata tolta come condizione psichiatrica dal Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM) nel 1974 e che è, invece, una naturale variante del comportamento sessuale (OMS, 1990), né del fatto che ridurre la famiglia ad un aspetto unicamente biologico con fine procreativo, non consideri minimamente gli aspetti, altrettanto importanti, psicologici e sociali dell’essere famiglia.
In Italia i pochi dati a disposizione, sono stati evidenziati dall’Istituto Superiore di Sanità e da Lingiardi (2007) che descrivono circa centomila bambini e ragazzi cresciuti da genitori dello stesso sesso. Altri dati emersi da due ricerche psicosociologiche molto importanti evidenziano che il 7% delle lesbiche e il 4,5% dei gay sono genitori (Barbagli M., Colombo A., Omosessuali Moderni. Gay e Lesbiche in Italia, 2001; Sareceno C., Diversi da chi? Gay, lesbiche, transessuali in un’area metropolitana, 2003).
Quello che più spaventa riguarda le “conoscenze e le acquisizioni scientifiche più accreditate” in tema di omogenitorialità. In accordo con Lingiardi (Citizen gay, 2007) e con tali percentuali, pur riconoscendo la complessità e la delicatezza dell’argomento in questione è necessario non negare importanti dati emersi dalle ricerche condotte sulle famiglie omogenitoriali in quei paesi dove è consentito legalmente costituire una famiglia omosessuale.
Il lavoro di raccolta dei dati provenienti dagli studi più importanti internazionali sulla genitorialità omosessuale prodotto da Bottino & Danna in La gaia famiglia (2005) rimarca delle conclusioni importanti e significative. Le due autrici hanno diviso gli studi sull’omogenitorialità in due periodi: a) quelli che vanno dal 1981 al 1998 e b) quelli invece dal 1999 al 2004. In entrambi i casi i dati hanno riportato l’inesistenza di differenze “preoccupanti” per ciò che concerne il benessere psicofisico o le funzioni cognitive dei bambini. In definitiva il punteggio degli stili genitoriali e del livello di investimento delle famiglie omogenitoriali sui figli risulta pari a quello dei genitori eterosessuali. Anche la qualità delle relazioni non sembra differenziarsi a causa dell’orientamento sessuale, bensì, indirettamente, tramite il genere dei genitori (maschio-femmina).
Cosa che non è da sottovalutare è il fatto che i bambini che crescono e vivono in famiglie
si trovano maggiormente davanti ad una stigmatizzazione sociale. Tali risultati coincidono con uno degli studi più importanti e recenti in merito, quello di Simon R Crouch et al. che ha riportato un maggiore benessere nei figli delle coppie omogenitoriali rispetto ai figli di genitori eterosessuali.
Tali studi, dunque, esistono e sembrano in tutta tranquillità rimarcare una non differenza in tema di coppie omogenitoriali e soprattutto dello sviluppo e della crescita dei bambini in queste “nuove famiglie”. Quindi, ciò che dovrebbe essere considerato è la possibilità di abbattere tutti quei pregiudizi e quelle false credenze che, come spesso viene osservato quando il contenuto della tematica è di tipo “sessuale”, alimentano e fomentano l’ignoranza, quindi nel caso specifico, l’omofobia.