Il sì di questa mattina al Bundestag, che ha approvato l’estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso, segna un momento storico non solo per la Germania, ma probabilmente per il resto d’Europa. Berlino gioca un ruolo di guida dell’intera UE, in questo momento, sia politicamente che economicamente e le sue scelte non sono secondarie per gli altri paesi. Inoltre, dal punto di vista prettamente giuridico, alcuni stati hanno seguito l’esempio tedesco proprio sulla questione del riconoscimento delle coppie same-sex. Abbiamo chiesto un parere, sulle possibili conseguenze del voto di oggi, ad Angelo Schillaci, ricercatore di Diritto Comparato all’Università La Sapienza di Roma.
Il voto di oggi sembra il frutto di una strategia politica dell’SPD e dei suoi alleati.
La sensazione che ho è che l’SPD abbia provato a mettere Merkel in un angolo in vista delle elezioni di settembre. Lei si è tirata fuori benissimo. Da un lato ha riconosciuto la libertà di coscienza ai suoi per sbloccare la situazione e per questo si assume il merito dell’approvazione della legge. Ma al tempo stesso col suo voto contrario ha rassicurato l’elettorato più conservatore e l’effetto è quello di togliere ai socialisti un importante argomento contro la CDU per la campagna elettorale.
Di fatto, però, ci sono voluti sedici anni dall’approvazione delle unioni civili al matrimonio egualitario.
Sedici anni e cinque minuti, per essere precisi, sì. Questa storia parte dal 2001, da un’Europa molto diversa da quella di adesso, in cui il matrimonio c’era solo nei Paesi Bassi e da pochi mesi. In Francia c’erano ancora i Pacs, nel Regno Unito non c’erano neanche le civil partnership. Era una scelta all’avanguardia e in linea coi paesi più avanzati dell’Europa. Dal punto di vista giuridico, prima il legislatore nel 2004 e poi il Tribunale Costituzionale, con una serie di sentenze molto importanti relative anche all’adozione coparentale, hanno assimilato le unioni civili al matrimonio.
Oggi i parlamentari non hanno fatto altro che cambiare nome a ciò che esisteva già perché il contenuto, a parte l’adozione piena che è una novità, era già identico al matrimonio. Sono stati sedici anni che hanno attraversato il periodo più fecondo per la storia dei diritti LGBT in Europa. Ci sono stati la Spagna, il Belgio, il Portogallo, la Francia, il Regno Unito, l’Irlanda: sedici anni molto intensi che giustificano il fatto che, alla fine, il dibattito oggi sia stato così veloce.
Che conseguenze ha il voto di oggi sul diritto nello scenario europeo?
Il fatto che un paese come la Germania che, è inutile nasconderselo, è il traino d’Europa, passi al matrimonio non è senza rilievo, anzi. Ha un’importanza fondamentale. Pensiamo all’influenza che l’ordinamento tedesco ha a livello giuridico sugli ordinamenti più vicini. Come l’Austria, che ha una tradizione cattolica molto forte, ma che ha applicato il modello tedesco sic et simpliciter. È facile che anche l’Austria ora si interroghi sulla scelta tedesca: sono due ordinamenti molto legati fra loro per lingua, cultura e tradizione giuridica.
E per gli altri paesi?
Nel quadro più europeo più complessivo, basti ricordare la sentenza della CEDU Oliari vs. Italia. Una delle motivazioni che la Corte usò in quel caso fu che gli stati hanno l’obbligo di riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso, ma con la libertà di scegliere quale forma adottare, dato che non tutti avevano scelto il matrimonio. Il passaggio di un paese come la Germania dal fronte unioni civili a quello del matrimonio è fondamentale anche solo dal punto di vista quantitativo. Quando la CEDU si interrogherà nuovamente sullo standard comune scelto dai paesi europei i numeri saranno diversi dall’ultima volta in cui l’ha fatto. È difficile dire quanto ci vorrà, ma non è da escludere che la prossima volta che dovrà decidere sulle coppie same-sex consideri che un paese come la Germania è passato dall’altra parte, spostando l’asse dello standard sul matrimonio invece che sulle unioni civili.
La legge italiana era partita prendendo esempio proprio dal modello tedesco. Cosa potrebbe succedere adesso?
L’Italia ha guardato alla Germania al momento della scrittura della legge sulle unioni civili: le prime stesure non erano altro che la traduzione della legge tedesca. Bisogna considerare, però che il nostro Paese ha preso quel modello nella fase più alta del suo sviluppo, con l’eccezione delle stepchild adoption che però all’inizio c’erano. Partiamo da un livello già avanzato, rispetto al percorso intero della Germania: in sostanza, abbiamo cominciato non dall’anno 1, ma dall’anno 15.
Con l’eccezione della filiazione, che va ricordata, l’Italia ha adottato un istituto sostanzialmente identico al matrimonio. Anche dal punto di vista culturale, per come si presenta alla collettività, è un matrimonio con un altro nome. Questo unito al fatto che il modello a cui ci siamo ispirati si è evoluto, deve necessariamente indurre ad una riflessione politica da parte dei partiti, specialmente in vista delle prossime elezioni. Ma una riflessione deve farla anche il movimento LGBT che a questo punto deve accelerare nella rivendicazione del matrimonio. Inutile nascondere che il voto di oggi segna uno spartiacque anche nelle lotte del movimento LGBT: ha fatto maturare i tempi in modo rapidissimo e non può essere ignorato.
Contro il matrimonio egualitario in Italia, però, si agita spesso l’articolo 29 della Costituzione che, secondo alcuni, preclude l’apertura alle coppie omosessuali.
Anche in questo, il voto di oggi farà scuola. L’articolo 6 della Legge Fondamentale tedesca (la loro Costituzione, per capirci) è del tutto simile al nostro articolo 29. Anche in Germania qualcuno ha tentato di usare questa motivazione per ostacolare il percorso della legge, ma il voto di oggi dimostra che quell’articolo non è stato di ostacolo per l’estensione del matrimonio. Del resto, non possiamo dimenticare che la sentenza n. 138/2010 della nostra Corte Costituzionale non dice affatto che l’articolo 29 della Costituzione andrebbe modificato per estendere il matrimonio a tutti, ma che la scelta spetta al legislatore. E aggiungerei, a questo punto, nel rispetto del principio di eguaglianza.