La Corte di Cassazione ha assolto una coppia che ha fatto ricorso alla gestazione per altri in Ucraina e che è stata denunciata quando ha chiesto la trascrizione dell’atto di nascita del bambino. Le accuse erano molteplici: non solo la violazione della legge 40 sulla procreazione assistita, che vieta il ricorso alla gpa, ma anche il falso e l’alterazione di stato (cioè l’aver dichiarato che il figlio fosse loro pur essendo stato partorito da un’altra donna). Va precisato che in Ucraina la gestazione per altri è legale, ma consentita solo alle coppie eterosessuali.
La coppia era stata già assolta nel processo in cui il comune di Pozzuoli si era costituito parte civile, ma la Procura di Napoli ha fatto ricorso in Cassazione che ha confermato l’assoluzione. I due avevano deciso di ricorrere alla gpa per via di una diagnosi di infertilità della donna, debitamente certificata. Per diventare genitori, si sono rivolti ad una struttura ucraina che ha provveduto a fecondare l’ovulo di una donatrice anonima con lo sperma del marito della coppia. L’ovulo è stato poi impiantato in un’altra donna che ha portato a termine la gravidanza. Sulla base di un documento firmato dalla gestante in cui esprimeva il suo consenso, conforme alla legge locale, il bambino è stato registrato all’anagrafe di Kiev come figlio della coppia italiana.
La procedura seguita è risultata conforme alla legge ucraina e infatti la Cassazione ha stabilito che la coppia non aveva intenzione di commettere un reato, essendosi recata in un paese in cui la gestazione per altri è legale. Anche l’accusa di falso e quella di alterazione di stato sono state considerate non fondate perché la coppia si è limitata a chiedere la trascrizione di un atto ufficiale rilasciato dall’amministrazione comunale di Kiev.
Quuesto ha fatto ritenere non valido il rilievo del ricorso in Cassazione il cui il Procuratore ha addotto come motivazione, tra le altre che “gli imputati avevano consapevolmente taciuto al funzionario consolare dell’Ambasciata italiana di Kiev di avere fatto ricorso alla tecnica di procreazione della maternità surrogata“.
La Corte ha però stabilito che gli imputati non possono essere condannati per avere fatto ricorso ad una pratica che non è illegale nel paese in cui si sono recati e dove hanno seguito tutta la procedura stabilita dalla legislazione locale vigente.