La paura? Fa parte della natura umana. Lo ricorda il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, che ha redatto un vademecum – che potete leggere qui – per affrontare la quarantena che tutti e tutte siamo chiamati ad osservare: «La paura funziona bene se è proporzionata ai pericoli. Così è stato fino a quando gli uomini avevano esperienza diretta dei pericoli e decidevano volontariamente se affrontarli oppure no. Oggi molti pericoli non dipendono dalle nostre esperienze. Ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e sono ingigantiti dai messaggi che circolano sulla rete». Facilità di accesso alle informazioni, capacità di saper selezionare le fonti e lo stato di “reclusione” a cui siamo obbligati possono generare stress. Come fare per superare tutto questo al meglio?
L’Ordine degli Psicologi ha redatto un decalogo anti-panico, che ci aiuta a gestire questa crisi. Crisi che, ricordiamolo, non è solo inerente alla gestione dell’emergenza epidemiologica, ma che può avere ricadute pesanti sulla qualità della nostra vita psichica. Per questa ragione, il vademecum ci aiuta a gestire le situazioni di stress e di panico che possono insorgere.
Vediamo il punto 1: «Il Coronavirus è un virus contagioso» leggiamo alla prima voce dei dieci punti «ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo in 5 hanno problemi più gravi e tra questi i decessi sono circa la metà ed in genere in soggetti portatori di altre importanti patologie». Il consiglio perciò è quello di «attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo».
I punti terzo e quarto entrano più nel dettaglio nella gestione del panico.
Leggiamo infatti al punto 3: «Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi».
E ancora, come riportato nel punto 4: «Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi».
I punti dal quinto al settimo trattano del rapporto tra le emozioni che proviamo e di come esse possono offuscare il ragionamento.
Si legge nel punto 5: «Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettive semplici, apparentemente banali ma molto efficaci» vediamo ancora. E non solo.
Dice il punto 6: «In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni».
Ne risulta, ed è il punto 7, dunque che: «È difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo».
Forse è il punto più importante di questo decalogo, il punto 8: «Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva».
Come riporta il documento: «La figura mostra nella parte superiore i pericoli di cui si ha più paura di quanta se ne dovrebbe avere. In questi casi l’indignazione pubblica può suscitare panico e, di conseguenza, ansie sproporzionate e dannose. Nella parte inferiore, al contrario, ci sono i pericoli a cui siamo abituati e che non provocano paure. La sproporzione tra le aree dei due cerchi mostra quanta differenza c’è tra paure soggettive e pericoli oggettivi».
E su quest’ultima immagine si concentrano i due ultimi punti.
Nel punto 9, infatti, leggiamo: «La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: l’indignazione pubblica sui media accentua alcune paure, come quelle per gli attacchi terroristici e i criminali armati, e induce a sottovalutare altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati. Le caratteristiche del panico per coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica».
Il documento si chiude con il punto 10: «Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi».
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