Anche questa volta la perfida direttrice Chiatt Moss ci ha fregate!
Ci ha mandate a intervistare Gianluca Pirozzi: guardiamo la foto e sembra tutto ok… Un bell’orsetto quarantenne di quelli che piacciono a Courtney.
Che sia la volta buona per parlare di cibo e uomini?
E invece no… siamo costrette a parlare di donne (e grazie al cielo almeno non parliamo di motori!).
Iniziamo parlando di te: nella tua biografia c’è scritto che sei nato a Napoli ed hai vissuto a Roma, Bruxelles, Parigi, Bogotà, Mumbai e Skopje. Anche tu, come noi, hai problemi con la legge e scappi in giro per il mondo?
Esatto! Scherzi a parte, lavoro per un’ amministrazione pubblica e mi occupo di relazioni internazionali il che mi ha portato a vivere anche alcuni anni fuori dall’Italia.
Il tuo ultimo libro, “Nomi di donna” (ed. L’Erudita), partendo dal nome delle protagoniste racconta le vite di 13 donne (o meglio 12+1 ma meglio non svelare troppo) molto diverse fra loro: perché un uomo sente l’esigenza di scrivere storie di donne?
Quel che ho narrato è un modo di sentire il mondo, fatto di singole epifanie – vere e proprie illuminazioni nella vita delle singole protagoniste che ho provato a cogliere proprio nell’istante che immediatamente precede questa illuminazione.
Ti sei ispirato a storie di donne che conosci nella realtà?
Non voglio sfatare alcuna idea sull’inevitabile legame che c’è tra la vita dell’autore e quella dei personaggi di cui scrive, però oltre all’inevitabile processo di attingere al proprio vissuto, vorrei anche dire che credo che i personaggi d’un libro prendono inevitabilmente le proprie sembianze. Emergono spontaneamente come fiori di campo, quando si è infine in grado di guardarsi allo specchio, di analizzare parti di sè rimosse o a lungo appesantite dal giudizio, quando si è in grado di ripensare ad esperienze che sono in qualche modo sopravvissute al semplice ricordo. Voglio dire che questo accade quando i personaggi di fantasia che covano in noi si rivelano una volta che si è compresa a fondo la loro natura reale, il vissuto (proprio) che è rifluito in loro. Da quel momento,non ti sfugge (quasi) più nulla, non hai più di che accusarli o di che vergognarti. Li accetti, ti accetti. Sei infine pronto alla scrittura. Ecco: Giovanna, Stella, Monica, Edda, Clara, Fabiana e tutte le altre donne sono nate così.
Sei un papà arcobaleno ed hai una figlia: come mai fra le varie storie non c’è quella di una ragazza cresciuta con due papà?
Sono storie scritte nell’arco di cinque anni che hanno preceduto la nascita di mia figlia e il perché non ci sia una storia di una ragazza cresciuta con due papà é forse legato al fatto che in quegli anni mi sono molto impegnato affinché quel mio sogno diventasse realtà… forse in futuro ne scriverò…
La canzone Twinkle twinkle little star, presente in uno dei racconti, è una delle preferite del nostro adorato “nipote acquisito” Luca: l’hai inserita perché è legata a tua figlia Gaia?
É la canzone del cappellaio matto di Alice nel paese delle meraviglie di Carrol che amo molto ma che non ho ancora letto a mia figlia (ha appena compiuto tre anni). Ho scritto però Stella – il racconto in cui riprendo quelle frasi – prima di iniziare a canticchiare, come faccio da un paio di anni, quel ritornello a mia figlia.
Che peso hanno l’orientamento sessuale e l’identità di genere delle protagoniste dei tuoi racconti?
In alcuni racconti (Fabiana e Edda) questo tema é molto presente ma, in generale, quando scrivo non é che mi sforzi di mettere per forza la questione di genere al centro di una storia nel senso che quando mi siedo per scrivere un racconto, mi concentro sulla storia e non su cosa questa potrebbe insegnarci.
Lesbiche velate che muoiono (ma perché le lesbiche devono sempre morire nella fiction?), trans (ma non diciamo di più)… E le drag queen invece? Perché non c’è un racconto su noi Beagles ad esempio? Come pensi di porre rimedio a questa evidente ingiustizia che rischia di compromettere la tua carriera di scrittore?
Prometto che ne scriverò in futuro!
Per finire una domanda un po’ più seria: in uno dei racconti la protagonista viene barbaramente uccisa dal marito che la trova insopportabile. Non pensi che ci sia il rischio che qualcuno ci legga una giustificazione del gesto in un momento in cui il femminicidio è un’emergenza?
Assolutamente no: ho voluto narrare un clima familiare in cui l’incapacità malata del protagonista maschile di relazionarsi con se stesso e col mondo esterno lo conduce a commettere il crimine orrendo di uccidere la propria donna.
A questo punto dell’intervista Tessuta Adiposa tira fuori una vaschetta di gelato da 1kg ed è la fine… (no, niente di sessuale tranquilli, Gianluca è un serio padre di famiglia!).
Alla prossima intervista e buona lettura di Nomi di donna! 😉