Tra una settimana esatta, il 27 gennaio, sarà il Giorno della memoria, in ricordo delle vittime uccise nei campi di sterminio dal nazismo. Non si ricordano solo le vittime della shoah, sebbene il popolo ebraico è stato quello che ha pagato il tributo più alto dello sterminio nazista. Altri esseri umani furono internati nei lager in Germania e in Polonia. Questa ricorrenza, dunque, tocca da vicino anche la comunità Lgbt+, perché i triangoli rosa e i triangoli neri – tra gli altri – sono una triste verità della nostra storia più recente.
Si è parlato di omocausto, per definire l’eccidio delle persone Lgbt+ nei campi di sterminio. Non solo i gay maschi, ma anche le lesbiche la cui condizione era ulteriormente peggiorata dalla negazione dell’identità: nel campo di Ravensbrück venivano rinchiuse molte donne definite come asociali. «Ravensbrück non è Auschwitz, né Dachau o Bergen-Belsen. Non ci sono le immagini dell’Armata Rossa o i video dell’esercito britannico a consegnare alla storia i fotogrammi dell’orrore. Si tratta di una vicenda, se non dimenticata, quantomeno poco studiata» riporta un articolo de Linkiesta. Quindi si arriva alla «monumentale e scrupolosa opera di Sarah Helm», giornalista inglese, «autrice di una lunga ricerca» su quel campo dal titolo Ravensbrück: Life and Death in Hitler’s Concentration Camp for Women.
«Come si evince dal titolo del volume» apprendiamo, «nel lager voluto dall’architetto dell’Olocausto, Heinrich Himmler, c’erano solo donne. Ne entrarono più di 130.000, da venti Paesi diversi, fino alla fine della guerra. Le prime 867 arrivarono il 15 maggio del 1939. Solo una parte di loro – secondo alcuni dati, circa il venti per cento – era ebrea. Le altre erano colpevoli di comportamenti “devianti”: lesbiche, prostitute, socialiste, comuniste, abortiste, rom, testimoni di Geova. Persone considerate inutili per la sopravvivenza e la gloria del Reich». Almeno 30.000 le persone uccise di quel campo, ma «alcune stime parlano addirittura di 90.000 vittime».
«Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa» ci ricorda il sito del Circolo Mario Mieli di Roma, «che pochi mesi dopo entreranno a Berlino ponendo fine alla guerra, liberano il campo di concentramento di Auschwitz. Per molti internati si chiudono le porte dell’inferno, almeno quello fisico, perché la sensazione di sentirsi sempre intrappolati in quei posti non li abbandonerà mai. Per gli omosessuali, invece, le fiamme continuano a bruciare». Nonostante la fine del nazismo, infatti, essere gay rimase una colpa.
«Molti passano da campi di concentramento al carcere, dove finiscono di scontare la loro pena in base al Paragrafo 175, la legge che proibiva relazioni tra persone dello stesso stesso in Germania e che verrà abolita solo nel 1994» leggiamo ancora. «Di conseguenza, nessun omosessuale, a differenza degli ebrei, riceve un indennizzo o un minimo conforto per le sofferenze subite. Ancora oggi, testimoni ce ne sono pochissimi proprio per le conseguenze che dichiarazioni del genere avrebbero comportato. Negli anni prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale, ai sospetti omosessuali è vietato persino l’ingresso o l’immigrazione in quasi tutti gli Stati del mondo». Un’ingiustizia che non finisce con la fine della tirannide. Per tale ragione quella data, insieme alle lotte successive fatte per l’uguaglianza giuridica e formale di fronte alla legge, ci riguarda come chiunque altro.
Ed è per questo recupero della memoria collettiva – che ci riguarda non solo in quanto person Lgbt+, ma anche come esseri umani – che «in vista della Giornata della Memoria, Omphalos porta a teatro» l’opera L’isola degli invertiti, «uno spettacolo sul Confino degli omosessuali negli anni della violenza fascista che sconvolse l’Italia e che oggi alcuni negherebbero». Dato che «le testimonianze dirette» di quel periodo stanno scomparendo, «ci rimane la Storia a ricordarci che oltre alla deportazione, l’Italia si macchiò anche della vergogna del Confino». L’associazione perugina, dunque, propone il testo di Antonio Mocciola, per la regia di Marco Prato: «Un lavoro completo, documentato, forte di cui nel presente del 2020 c’è molto bisogno». La rappresentazione si svolgerà al Teatro S. Angelo, il 23 gennaio, alle 21:00 a Perugia. Un’occasione per ricordare, riflettere e capire quale pagina del passato non va più rivissuta. Anche oggi, in pieno ventunesimo secolo.
Nell’immagine Alberico Moretti, schedato come “pederasta” e spedito al confino dal regime fascista – foto Mmasciata.it.
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