«Il Parlamento italiano, con la legge n. 211 del 2000, ha istituito il 27 gennaio, quale Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti…» inizia così una circolare (qui il testo completo) del Ministero dell’Istruzione alle scuole italiane di ogni ordine e grado, diramata qualche giorno fa, per celebrare questa giornata. La cattiva notizia è che, secondo tale impostazione, si collocano fuori dal ricordo dello sterminio tutti quei gruppi che non rientrano tra le categorie citate nel documento ministeriale: testimoni di Geova, rom, omosessuali, asociali, disabili, ecc.
Certo, la circolare che invita a ricordare la tragedia dei campi di sterminio si rifà a una legge vecchia più di vent’anni. Dal parlamento del 2000, popolato da forze di stampo cattolico-conservatrore (nonostante la maggioranza fosse di “centro-sinistra”), non c’era da aspettarsi molto altro. Fu l’anno del World Pride, quando la chiesa cattolica fece pressioni sulla politica per ostacolare la manifestazione. E Giuliano Amato, presidente del Consiglio di allora, ribatté: «Purtroppo dobbiamo adattarci a una situazione nella quale vi è una Costituzione che ci impone vincoli e costituisce diritti». Purtroppo non si poteva vietare il pride. Quello era il quadro politico che produsse l’ennesima legge che insultava la nostra comunità. E il parlamento optò, così, per la rimozione collettiva.
La legge, dunque, è vecchia. Ma la cosa grave, a parer mio, è che tale rimozione venga perpetrata anche nella circolare in questione. Si legge più avanti, infatti che «Il Ministero dell’Istruzione è da anni impegnato a promuovere nelle Istituzioni scolastiche un’ampia varietà di attività di studio, formazione e sensibilizzazione perché il ricordo delle vittime rimanga sempre vivo nel tempo, offrendo ai giovani, attraverso il confronto con la ricchezza delle diversità culturali, gli strumenti per opporsi ad ogni discriminazione si essa religiosa, etnica o razziale». Eppure non si finiva nei campi di sterminio solo per queste ragioni. Noi persone Lgbt+ ne sappiamo qualcosa.
La domanda che mi pongo, insomma, è la seguente: la scuola italiana non sente l’esigenza di ricordare anche le altre categorie di persone trucidate dal nazismo? Perché si avverte una spiacevole sensazione, a leggere quel documento. Come se omosessuali, rom, testimoni di Geova, disabili, asociali (categoria che includeva anche le donne lesbiche) e tutte le categorie che non rientrano nelle voci “popolo ebraico” e “deportati militari e politici italiani” non avessero importanza. Eppure il crimine è stato lo stesso: la follia omicida dei nazisti. Stesso gas, stesse prigioni, stesse fucilazioni di massa, stesse torture psicologiche e fisiche. Perché questa “cancel culture” ai danni delle minoranze?
Si chiede di ricordare il popolo ebraico ed è giustissimo e doveroso: abnorme e disumano è stato l’eccidio che ha dovuto subire. Ma non si fa menzione di altre categorie. Che andrebbero nominate, ricordate e andrebbe spiegato perché uccidere una persona in base alle sue caratteristiche personali e sociali, nonché per religione e etnia, è qualcosa di abominevole, che va contro la nostra stessa Costituzione: articolo 3, nello specifico. O forse dovremmo credere che questa cosa, per il Ministero, non è importante? Personalmente, in qualità di insegnante e per rimediare a questa rimozione, citerò tutte le categorie nelle mie classi. Perché non ci sono morti di serie A e di serie B, anche se forse per qualche burocrate e per qualche politico esistono vite da mettere in graduatorie di accettabilità. La scuola non è il luogo di tali disparità di trattamento. E spero che in tanti e tante, nel corpo docente, vogliano ricordare tutte le vittime della follia nazista.
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