In queste settimane avevo l’impressione di essere finito in un microcosmo quantico, come Ant-man in una delle sue avventure, dove molti anni trascorrono in pochissime ore. Dico questo perché la mia bolla di Facebook mi ha regalato un irrefrenabile ottimismo circa le magnifiche sorti progressive dei diritti Lgbt+, nel nostro Paese, in previsione del governo giallo-rosso. Come se a farne parte fossero un partito social-democratico scandinavo e un partito liberale tedesco e non due soggetti politici di base omofobi, come appunto il Pd e il M5S.
Adesso, prima che parta il solito mantra sul fatto che è grazie al Pd che abbiamo avuto le unioni civili, “meglio poco che nulla”, le immancabili accuse di gufismo o solidi argomenti quali “almeno io ho potuto sposarmi, prima non avrei potuto farlo”, sgomberiamo il campo da alcuni equivoci di base:
In tutto questo, aggiungo che non sono contrario all’attuale governo Pd-M5S. Sperando di essere stato chiaro quanto più possibile.
Rispetto al Pd che abbiamo lasciato nel 2016, al governo dopo l’approvazione della cosiddetta legge Cirinnà, e dopo la debacle elettorale del 4 marzo 2018, esso è sostanzialmente uguale a quello di sempre: un partito, ripeto, di base omofobo. E sottolineo di base, scrivendolo anche in corsivo. Che non vuol dire che è uguale alla Lega o a Fratelli d’Italia. Né che i suoi rappresentanti siano alla stregua di un picchiatore fascista. Significa, invece, che la sua azione non mira al riconoscimento della piena parità giuridica tra persone Lgbt+ e comunità eterosessuale. La cultura politica che lo caratterizza vuole mantenere proprio un discrimine tra “noi e loro”, perché ci vede come soggetti irriducibilmente diversi. E in nome di questa diversità, mantiene uno squilibrio giuridico. Sul M5S, invece, c’è poco da dire: è il partito del tradimento.
Non dico io che l’omofobia «si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto diverse forme». Tra queste forme, ricordiamo quelle più violente: «incitamento all’odio e istigazione alla discriminazione» fino alle «persecuzioni e uccisioni». E quelle più sottili: discriminazioni e «violazione del principio di uguaglianza» oltre la «limitazione ingiustificata e irragionevole dei diritti». Che «spesso si cela dietro motivazioni fondate sull’ordine pubblico, sulla libertà religiosa e sul diritto all’obiezione di coscienza». Lo dice, appunto, una risoluzione del Parlamento Europeo del 24 maggio 2012. E se ci facciamo caso, le unioni civili sono state fatte come le conosciamo proprio per questioni di coscienza personale e di fede religiosa.
Il Pd di oggi è diverso da allora? No, non lo è. Per cui nessuna sorpresa e nessuna delusione nel non trovar traccia delle nostre istanze nel programma di governo. Ce lo suggerivano, per altro, le cronache più recenti: come l’approvazione della legge regionale contro l’omofobia in Emilia Romagna. Anche lì, si andò di ricatto politico: per far passare la legge – la regia guarda caso fu di un cattodem, tale Giuseppe Paruolo – si inserì un comma contro il cosiddetto “utero in affitto”. In chiave anti-gay, visto che gli omosessuali maschi possono avere figli solo attraverso quella pratica (no, l’adozione non è ancora contemplata). Un deja vu, come appunto ai tempi delle unioni civili. O come con la legge nazionale “contro” l’omo-transfobia: quando per compiacere i cattolici si arrivò a depotenziarla, per poi archiviarla del tutto. Il M5S, dal canto suo, resta il partito che è sempre stato: inaffidabile e inconcludente.
Io credo che il Pd – così come e in misura ancora più urgente il M5S, sebbene lì serva un’alfabetizzazione politica ben più radicale – prima di fare qualsiasi altra cosa “a vantaggio” della comunità arcobaleno dovrebbe prima “andare a scuola”. Intendo proprio studiare. Magari attraverso l’aiuto delle associazioni. E magari isolando le “anime nere”, presenti tra le sue file: l’elenco dei cattodem presenti in parlamento è lungo. E ricordo solo che fu il Pd a proporre, attraverso un suo senatore, un emendamento che prevedeva il carcere per i padri gay che ricorrevano alla Gpa all’estero. Poi però il problema è Pillon (ed è un grosso problema, ne convengo).
Il Pd e il M5s devono capire, insomma, due cose. In primo luogo: non siamo una minoranza, seppure siamo percepiti/e come tali. E non per ragioni oggettive (quale può essere la variante etnografica o religiosa, per fare un esempio), ma per un pregiudizio sul nostro modo di vivere la nostra vita. Pregiudizio mantenuto in piedi e difeso, molto spesso, proprio per questioni attinenti alla propria fede, come nel caso dei cattodem. In secundis: la dignità di noi persone Lgbt+ non è qualcosa che può essere costantemente negoziata, molto spesso umiliandola con mediazioni al ribasso, sull’altare dell’opportunismo politico che ha caratterizzato da sempre l’azione del partito tutte le volte che si è provato a legiferare in merito.
Fino a quando dentro il Pd non si risolverà questa contraddizione insanabile – complici anche larghi settori della nostra comunità e del nostro movimento, pronti ad accettare qualsiasi cessione di dignità in nome del “risultato” – forse è meglio che per questa volta, sui diritti Lgbt+, si resti fermi un giro. Tremo all’idea di una legge contro l’omofobia gestita da un Di Maio che dice che la famiglia è quella fatta da uomo e donna (manco fosse una Carmen Consoli qualsiasi), o dalla nutrita pattuglia renziana dove troviamo proprio i cattodem. Gli stessi che lavorarono alacremente, nel 2016, affinché la poca eguaglianza contenuta nel primo ddl Cirinnà si trasformasse in discriminazione compiuta. Non si legifera su ciò che non si conosce o su cui si nutre sospetto e pregiudizio. O, in una parola soltanto, omofobia.
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