«La Presidenza del Consiglio non ha mai ricevuto nessuna richiesta di patrocinio per il “World congress of families”, in programma a fine marzo a Verona, né quindi ha potuto mai concederlo». Così, in una nota diffusa oggi, Palazzo Chigi smentisce di avere mai concesso il patrocinio al congresso che tante polemiche ha suscitato nelle ultime settimane. «Si tratta di una iniziativa autonoma del ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana, attraverso procedure interne agli uffici e che non hanno coinvolto direttamente la Presidenza del Consiglio», si legge ancora nella nota.
Niente patrocinio, dunque. Non per altro, ma perché non è neanche mai stato chiesto. Conte si toglie così le castagne dal fuoco senza prendere posizione sull’evento stesso.
Almeno tre ministri ci saranno
Nei giorni scorsi era circolata la notizia di un patrocinio del Governo al congresso a cui hanno annunciato la partecipazione Fontana, Salvini, il ministro dell’Istruzione Bussetti e il presidente dell’Europarlamento Tajani. Di certo, L’iniziativa ultraconservatrice ha ricevuto il sostegno del sindaco di Verona Federico Sboarina e del governatore della Regione Veneto Luca Zaia.
Le componenti anti-lgtb
Un evento che ha scatenato polemiche sia nella comunità LGBT+ che tra le organizzazioni femministe. La ragione è presto detta. Il congresso infatti riunisce tutte le associazioni che abbiamo imparato a conoscere in occasione dei Family Day e delle battaglie contro le famiglie arcobaleno, oltre che contro una legge di contrasto all’omotransfobia. Tant’è che tra gli ospiti ci sarà anche l’attivista nigeriana Theresa Okafor fautrice di una legge che prevede la pena di morte per gli omosessuali.
Gli antiabortisti
Nel parterre di associazioni che si incontreranno a Verona tra il 29 e il 31 marzo, non manca l’universo antiabortista e vicino alle posizioni che hanno ispirato il famigerato disegno di legge Pillon sull’affido condiviso. Una legge, ricordiamo, considerata un attacco diretto alla libertà e alla dignità delle donne che rischia di far fare al Paese un passo indietro di 30 anni su temi quali l’aborto e la parità di genere.