E poi a un certo punto della storia arriva sempre quello che ti chiede «Cosa ti fa pensare che io cerchi sesso su Grindr?». Tipo il pacco in evidenza, il nick name del tenore di “io attivissimo”, la dicitura “XL per XL” in descrizione e amenità del genere, magari. Ma con ogni evidenza no, sei tu che sei un porco e pensi male. La mascherina nera su sfondo arancione ci ha regalato spesso perle del genere – e per chi fosse davvero temerario, oltre che sperimentare di persona, può sempre fare un giro sulla pagina satirica Facebook dedicata per capire l’esatta dimensione della tragedia. La casistica è lunga, se Marco Ezechia Lombroso (detto Cesare) fosse ancora vivo ci scriverebbe un pippone dei suoi, ma in mancanza di studi antropologici di riferimento, non possiamo fare altro che basarci sulla nostra esperienza.
Perché ammettiamolo, ragazzi: tutti noi siamo colti a un certo punto dall’irresistibile richiamo del social gay. Wapo, Romeo o altro ancora, ma sempre emanazione virtuale degli ormai estinti batuage e dell’angolo bar di una discoteca frocia qualsiasi. Quella in cui fino alle tre del mattino non la dai a nessuno. Nemmeno ti stessero aspettando fuori, con il tettuccio aperto della macchina figa, come Richard Gere in Pretty Woman (ipocrite!), per poi scatenare i fatidici “saldi di fine serata” allo scoccare dell’ora x.
Sulle app da telefonino non siamo poi così diversi, semplicemente tutto avviene mentre ce ne stiamo comodamente spaparanzati a letto con un occhio sulla tv, oppure fuori al pub con gli amici che ti dicono “ora basta cercar cazzi” mentre anche loro stanno facendo la stessa identica cosa, ma devono pur darsi un tono. E così, mentre guardi quello che offre il “convento”, magari incontrando qualche prete vero, ti imbatterai nella varia umanità di cui è capace il mondo dei bit: dai decapitati agli uomini-paesaggio, da chi pensa che la dignità di un’intera esistenza sia concentrata negli addominali a tartaruga fino a quei profili inequivocabilmente grigi con lapidarie affermazioni quali “no foto no chat”.
Poi sarà che io sto invecchiando e non riesco ad accettare i cambiamenti della nostra epoca, ma ai miei tempi in certi posti ci facevi due cose: o cercavi sesso, o il principe azzurro con cui poi facevi comunque sesso (e lui spariva regolarmente lasciandoti il preservativo usato a mo’ di scarpetta di cristallo che nessuno verrà mai ad esigere). Oggi no. Non è più così. Lasciando stare i vari “cerco stanza” – che, per capirci, è un po’ come andare su Kijiji per capire a che punto stiamo con l’offerta di fellatio – e chiudendo un occhio sugli escort (e quando cominciano a scriverti loro, significa o che nonostante il botulino le rughe si vedono tutte o che mentire sull’età è strategia fallimentare), un po’ tutti, non è una notizia, ci siamo trovati di fronte a diverse figure professionali: dai personal trainer agli hair styilist, passando per gli esperti di yoga, i massaggiatori (categoria per altro perniciosissima, visto che per molti è sinonimo di escort con tutte le valutazioni sul fattore età di cui si è già discusso), i graphic designer e via discorrendo. Tutti intenti ad affollare qualsiasi app possibile non tanto per abbattere l’ormone, quanto per combattere la crisi.
Un po’ come quella volta, che ero alla Coin di piazza San Giovanni e un tipo mi agganciò, sempre on line, dicendomi: «Sei qui per fare shopping? Se vuoi ti aiuto io, sono del mestiere. Ma dovrai pagarmi». Perché ormai è chiaro, su Grindr un personal shopper lo trovi. Di fidanzati (o amanti) invece, nemmeno l’ombra.