Un’altra importante vittoria delle donne, e in generale un’importante affermazione del progresso culturale.
La notizia è di pochi giorni fa: la Corte costituzionale ha accolto il ricorso presentato dalla Corte di Appello di Genova sulla possibilità di dare il cognome della madre ai figli, dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma «che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori». All’origine del ricorso dei giudici genovesi (per violazione di una serie di diritti costituzionali come quello all’identità personale e di pari dignità dei genitori), una causa promossa da una coppia italo-brasiliana dopo il rifiuto da parte dell’ufficiale di Stato civile di apporre al loro figlio, nato nel 2012, anche il cognome della madre.
Ma esattamente quale è la norma contestata e sulla quale si è pronunciata la Consulta?
Si tratta di una “norma implicita“, non prevista espressamente dall’ordinamento ma desumibile da alcuni articoli del Codice civile, da un Regio decreto del 1939 (!) e da un decreto del presidente della Repubblica del 2000, che in pratica dispongono l’attribuzione automatica del cognome paterno ai figli legittimi nati dal matrimonio anche se i genitori sono concordi ad attribuire al minore entrambi i cognomi.
Già nel 2006 la Corte Costituzionale aveva trattato un caso simile, in cui si chiedeva di sostituire il cognome materno a quello paterno: in quell’occasione i giudici, pur definendo l’attribuzione automatica del cognome paterno un «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», dichiararono inammissibile la questione sottolineando come spettasse al legislatore trovare una soluzione normativa al problema e invitando il Parlamento a legiferare al più presto in materia.
Invito che è caduto nel vuoto: infatti ad oggi nessuna innovazione legislativa è stata introdotta dal Parlamento e l’ultimo disegno di legge in ordine di tempo, giace in Commissione Giustizia al Senato dal 2014.
Il relatore Sergio Lo Giudice (Pd) ha però annunciato la presentazione a breve di un nuovo testo base, con modifiche alle norme approvate da Montecitorio e basate sulla possibilità per i genitori di assegnare al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di Stato civile alternativamente, il cognome del padre, quello della madre o di entrambi. L’ordine sarebbe quello concordato dai genitori o, in caso di mancato accordo, in ordine alfabetico.
Questa spinta innovativa arriva dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (che vieta ogni discriminazione fondata sul sesso) e una condanna all’Italia della Corte di Strasburgo del 2014 per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per la mancanza, nel nostro ordinamento, di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno.
Ma come era (ed è) possibile, ad oggi, aggiungere il cognome materno a quello paterno?
Alcune coppie non sposate ricorrevano ad un “escamotage”: il bambino nasceva senza essere riconosciuto dal padre e prendeva dunque il cognome della madre. Successivamente il padre lo riconosceva e dunque il proprio cognome veniva aggiunto.
Altra modalità, negli anni divenuta sempre più usuale, è quella del ricorso al Prefetto.
La procedura utilizzata è quella prevista dal DPR 396/2000 (come modificato dal DPR 24.02.2012) per il cambio del cognome. Il DPR consente infatti di rivolgersi alla Prefettura, per cambiare il cognome indicando motivi significativi e rilevanti anche di ordine affettivo (e, quindi per esempio, modificarlo con l’aggiunta del cognome materno). La decisione del Prefetto era (ed è) discrezionale, ma negli anni si è assistito ad una propensione sempre maggiore dell’accoglimento delle domande, non solo per la modifica di cognomi ritenuti offensivi, ma anche per l’aggiunta del cognome materno.
Ci si augura che dopo l’importante decisione della Corte Costituzionale l’iter legislativo proceda rapido e che questo diventi un altro piccolo e ulteriore tassello verso l’effettiva e piena parità di genere.