L’Alta Corte del Botswana, in una sentenza ampiamente attesa, ha stabilito la depenalizzazione dell’omosessualità, vietata dal Codice penale risalente al 1965.
Il giudice Michael Elburu ha annullato le “misure di epoca vittoriana” e ordinato di emendare le leggi. La sentenza arriva appena un mese dopo che l’Alta Corte del Kenya, invece, ha respinto un ricorso che chiedeva di eliminare le leggi, risalente al periodo coloniale, che criminalizzano l’omosessualità e prevedono pene fino a 14 anni di carcere per i rapporti tra persone dello stesso sesso.
Secondo il Codice penale del Botswana, finora, “la conoscenza carnale di ogni persone contro l’ordine della natura” era punibile con sette anni di detenzione. A presentare ricorso contro le vecchie leggi, a marzo, era stato uno studente di 21 anni, Letsweletse Motshidiemang; il giovane sostiene che la società è cambiata e l’omosessualità è ora più ampiamente accettata.
Dopo un attacco brutale a una persona transgender, lo scorso novembre, a schierarsi a sostegno della comunità Lgbt era stato lo stesso presidente del Botswana, Mokgweetsi Masisi. “Ci sono molte persone in questo Paese che hanno relazioni omosessuali e che soffrono in silenzio per paura di essere discriminate”, aveva tuonato, “queste persone meritano di vedere protetti i loro diritti, come gli altri cittadini”. Il verdetto di oggi rappresenta una vittoria per gli attivisti in Botswana e non solo. Dei 54 Paesi africani, almeno 32 ritengono illegale l’omosessualità, secondo l’associazione internazionale Ilga, che si occupa della parita’ dei diritti di genere. In alcune Nigeria, Somalia e Sudan avere relazioni gay e’ punibile con la morte, mentre in Tanzania il rischio e’ l’ergastolo.
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