Quest’anno si festeggia la tredicesima Giornata internazionale contro l’omofobia – o IDAHOBIT (International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia). Una ricorrenza istituita dall’Unione Europea nel 2007 che si celebra ogni anno il 17 maggio.
L’ordinamento italiano è totalmente silente rispetto al tema del contrasto alla violenza di natura omo-transfobica, sia essa fisica o verbale.
Inoltre, in quanto a prevenzione e repressione di reati e discorsi d’odio (hate crimes & hate speeches), l’Italia figura come fanalino di coda tra i Paesi Europei. Secondo l’ultimo report annuale “Rainbow Map & Index” di ILGA-Europe, l’International Lesbian & Gay Association, l’Italia garantisce alla comunità LGBT+ solo il 22% dei diritti di cui godono gli individui maschi bianchi eterosessuali.
Al contrario di numerosi altri Paesi, in cui da tempo sono state approvate leggi contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, in Italia sono ormai 24 anni che si cerca di colmare un vuoto normativo ingiustificabile.
L’Italia, pur prevedendo una legge che punisce espressamente i crimini e discorsi d’odio, (la cosiddetta legge “Reale-Mancino”) ha adottato una formula che non include né esplicitamente né implicitamente la tutela delle persone Lgbt+. Non esiste neppure alcuna specifica previsione di una aggravante per i reati commessi con movente omofobo.
Quindi, ad oggi ancora in Italia le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender non godono di alcuna specifica protezione prevista dalla legge. Se vittime di violenza, il movente omofobico o transfobico che ha generato il reato non ha alcuna rilevanza giuridica.
La prima proposta di legge fu presentata nel 1996 da Nichi Vendola.
L’ultima in ordine di tempo è il testo di legge “in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere” firmato da Alessandro Zan, deputato del Partito democratico. Il testo è stato finalmente discusso in Commissione Giustizia lo scorso ottobre e sarebbe dovuto approdare in aula a fine marzo. La discussione è stata ovviamente rimandata a data destinarsi per via dell’emergenza Covid.
Si tratterebbe di inserire l’orientamento sessuale e l’identità di genere all’interno dell’attuale impianto giuridico in materia di reati e discorsi d’odio, allo scopo di estendere la normativa già esistente alla protezione della popolazione Lgbt+.
Tale impianto risiede nella Legge n.654 del 13 ottobre 1975 (la cosiddetta “Legge Reale), modificata con il Decreto legge n. 122 del 26 aprile 1993 (meglio noto come “Legge Mancino”) che attualmente si limitano entrambe a punire i reati e i discorsi d’odio fondati su caratteristiche personali quali la nazionalità, l’origine etnica e la confessione religiosa.
Inserire l’orientamento sessuale e l’identità di genere tra queste caratteristiche significherebbe conferire alle persone Lgbt una speciale protezione considerata la vulnerabilità speciale a cui sono soggette.
Il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico e dell’identità di genere come aspetti della personalità degni di particolare protezione e considerazione, infatti, avrebbe due effetti. Da un lato quello pratico di garantire una maggiore sicurezza personale punendo le condotte aggressive motivate da odio omo-trasnfobico. Dall’altro lato segnerebbe un ulteriore passo verso la piena e vera eguaglianza delle persone Lgbt+.
La legge interverrebbe su due punti del codice penale aggiungendo una semplice clausola, ovvero “fondati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”.
In altre parole, quindi, “il reato di istigazione alla violenza e alla discriminazione”, sarebbe punito con la reclusione da sei mesi e quattro anni a chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici nazionali o religiosi o fondati sull’orientamento sessuale e identità di genere”. La fattispecie già esistente verrebbe di fatto ampliata. In questo modo includerebbe l’istigazione e il compimento di atti di discriminazione e violenza motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima.
Analoga estensione riguarderebbe la circostanza aggravante, già prevista dall’art. 604 ter per le condotte di reato determinate da motivi razziali, etnici e religiosi.
Nel frattempo, anche in assenza di un’apposita normativa che punisca con un reato specifico e/o con una “pena aggravata”, in caso di reati commessi con un movente omofobico o transfobico ogni persona LGBT che ha subito una violenza, una minaccia, un’aggressione o un reato di qualsiasi genere in ragione del proprio orientamento
sessuale o della propria identità di genere potrà rivolgersi alle autorità di polizia, denunciare l’accaduto e vedere successivamente tutelati i propri diritti.
Il nostro consiglio, dunque, è denunciare sempre. Dato l’evidente immobilismo legislativo, una serie di azioni legali a contrasto di crimini d’odio legati a omofobia e transfobia potrà senz’altro creare dei precedenti per l’applicazione di una tutela.
(Se siete state/i vittime di episodi di omo-transfobia scriveteci a info@gaylex.it)
La strada per l’approvazione di una legge contro l’omo-transfobia in Italia sembra ancora lunga. Ed è necessario che questa battaglia diventi un impegno civile, non solo della comunità LGBT+, ma di tutte e tutti.
Avv. Michele Giarratano
(il presente articolo è apparso in una versione ridotta anche sul sito www.lush.it)
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