La bagarre sullo ius soli mi sembra l’ennesima polemica tutta italiana, nata dal solito mix di disinformazione – per non dire ignoranza pura dell’argomento trattato – razzismo, qualità in cui il nostro paese eccelle da un ventennio buono e, come se non bastasse, dallo scarso senso civico della popolazione oriunda del nostro paese. Vediamo perché.
Il solito copione politico
Le reazioni della classe politica, dalla bagarre in Senato che ha visto anche il ferimento della ministra Fedeli, passando per le dichiarazioni degli esponenti di destra fino alle barricate di Casa Pound, fanno parte di un copione che abbiamo già visto ai tempi delle unioni civili. E oggi come allora, di fronte a una legge blanda che regolarizza una situazione che già esiste di per sé – i cittadini stranieri possono infatti già richiedere la cittadinanza, con la legge in questione si permette di farlo a determinate condizioni già da minorenni – assistiamo alla solita pantomima inscenata da chi ha interesse a puntare alla pancia del proprio elettorato. Tra i protagonisti di questo atteggiamento, che rischia ad esacerbare i sentimenti xenofobi nel nostro paese, ricordiamo l’immancabile Lega Nord e un patetico M5S, ancora indeciso nella scelta tra rivoluzione e reazione circa la sua identità.
Cosa prevede la legge
Cosa cambia con la nuova legge? Una cosa molto banale, a ben vedere: se un bambino o una bambina nasce e/o cresce in Italia, da genitori che vivono qui già da diversi anni e con regolare permesso di soggiorno, potranno assumere la cittadinanza prima del compimento della maggiore età. Ciò non avviene, per altro, in modo automatico, ma attraverso alcuni passaggi: dipenderà dal tempo passato sui banchi di scuola o dagli anni di residenza dei genitori nel nostro paese. È uno ius soli “temperato”, molto diverso da quello americano dove se nasci nel territorio degli States acquisisci automaticamente la cittadinanza. Questo per mettere a tacere chi già ci vede colonizzati o addirittura a rischio di “invasione”.
Cittadini a tutti gli effetti
È abbastanza semplice in fin dei conti. Se cresci nel nostro paese, ne assimili la cultura e i tuoi genitori contribuiscono a rendere più forte un tessuto sociale di cui fanno anche parte – a cominciare dalla contribuzione fiscale, giusto per ricordare un aspetto di primaria importanza – puoi essere cittadino/a a tutti gli effetti. A me sembra folle non riconoscere questo diritto a persone che nascono e vivono in Italia. È così che si crea integrazione: proprio in quelle generazioni di passaggio che possono fare da ponte tra la cultura di provenienza e quella di approdo. È così che crei una comunità più solida, non certo allontanando dall’accesso ai diritti, alla piena cittadinanza, una fetta di individui che sono, di fatto, il futuro del nostro paese.
Un’identità nazionale fragile
La paura su cui fanno leva i partiti di destra, estrema e non, è indice di un’identità nazionale fragile, sulla quale dovremmo interrogarci. Abbiamo una storia controversa, dove il nostro nazionalismo – coniugato a desideri di grandezza internazionale – è coinciso con uno dei periodi più bui dell’Europa: il fascismo. Ma abbiamo anche una grande storia, fatta di stratificazioni di popoli diversi e di culture. Non avremmo l’arte che abbiamo oggi se non ci fosse stato l’incontro tra la nostra civiltà e l’oriente, per fare un solo esempio. Basta andare a Palermo o a Venezia, per rendersene conto.
Siamo un grande paese di migranti
Abbiamo un passato fatto di grandi cose: scoperte geografiche, acquisizioni filosofiche e scientifiche, produzioni artistiche e letterarie che non temono confronti a livello mondiale. Siamo, ancora, un popolo noi stessi di migranti. Un sindaco di New York tra i più amati fa Giuliani, di cognome. Madonna e Lady Gaga sono rispettivamente le signore Ciccone e Germanotta. Abbiamo dato al mondo persone che hanno scelto di emigrare e che hanno reso grandi i paesi in cui (dopo un processo di certo non semplice) sono stati accolti non come corpi estranei, ma come risorse umane. Dovremmo recuperare la memoria di tutto questo e far capire, anche agli elettori di Salvini e a certi grillini, che nella crisi che attraversiamo la diversità – anche culturale – è ingrediente primario di rinascita sociale, non certo una minaccia per il futuro.