Da circa due anni Klaus Davi sta conducendo un’inchiesta giornalistica sulle famiglie della ‘ndrangheta calabrese. Su quelle che operano nella zona di Reggio Calabria, per l’esattezza. Ed è proprio lì, ad Archi, che martedì scorso è stato vittima prima di un’aggressione verbale, con tanto di minacce di morte, da parte del figlio di un boss e poi di insulti omofobi. Tutto nel giro di poche ore. Gaypost.it ha contattato Klaus Davi telefonicamente per farsi raccontare l’accaduto.
Ero in un bar. Nel solito bar dove vado sempre, quando sono lì. Prendo il caffè e compro il giornale. La zona è la capitale di certa criminalità organizzata di Reggio Calabria si cui sto indagando. Ad un certo punto è entrato un uomo ed ha cominciato ad urlare.
Chi era?
È il figliastro di un esponente della famiglia Tegano.
E cos’ha detto?
Mi ha minacciato di morte ed ha inveito contro di me. Ha detto cose come “Sei vivo solo perché ti protegge la legge” che onestamente non so bene cosa voglia dire: la legge protegge tutti.
Poi cos’è successo?
È arrivata la polizia, erano tre agenti. Mentre erano lì il proprietario del bar mi ha detto: “Senti, è il caso che non torni più qui. Sei anche ricchione”.
Davanti alla polizia?
Sì, davanti alla polizia che ha sentito tutto. E infatti è anche partita un’indagine. Ma non è la prima volta che succede, eh.
Diciamoci le cose chiaramente: se vai in certi posti e indaghi su certe fenomeni, devi aspettarti anche situazioni così. Altrimenti fai altro. Solo che questa volta è accaduto davanti alle forze dell’ordine il che implica una sorta di salto di qualità. Cosa vuol dire? Perché non posso tornare lì? È una sorta di avvertimento? Tra l’altro questo è accaduto 48 ore dopo che Minniti aveva dichiarato che non ci possono essere zone franche per la mafia. La cosa non poteva passare inosservata.
Non può semplicemente darsi che il proprietario del bar volesse dire che non vuole rogne nel suo locale?
Un po’ è questo. Ma lui è anche il cognato di un altro ‘ndraghetista. Paolo De Stefano, ex latitante, più volte arrestato, l’ultima delle quali due mesi fa. È possibile che le sue parole avessero anche un’altra valenza, insomma.
Tornerà in quelle zone a continuare la tua inchiesta?
Certo che sì. Del resto, se vuoi raccontare questi fatti, devi andare lì, conoscere le persone e i luoghi: c’è poco da fare, non basta leggere ordinanze e sentenze.
E non ha paura?
Mi guardo le spalle, sempre. Anche quando non sono lì: scrivo di cose delicate, è normale che lo faccia. Ma non credo che in questa fase storica la ‘ndragheta abbia interesse a compiere atti clamorosi. Poi, chissà: parliamo sempre di organizzazioni criminali.
Aggiornamento: Proprio oggi il procuratore capo della Repubblica di reggio Calabria ha confermato l’esistenza dell’indagine. “Abbiamo avviato un’indagine sull’episodio. Altro non posso aggiungere” ha dichiarato a Reggio Tv. Ed ha aggiunto che la tutela verso Davi “è necessaria perché il suo coraggioso lavoro giornalistico è un’inchiesta portata avanti nei confronti di esponenti della ‘ndrangheta o comunque di famiglie vicine alla ‘ndrangheta. Il suo modo di porgersi finisce per determinare una sua maggiore esposizione, che in un territorio come questo in cui la ‘ndrangheta è capillarmente presente potrebbe certamente determinare pericolo per la sua incolumità. È evidente che là dove c’è un giornalista, che svolge un’attività di inchiesta, così penetrante come la sua, è necessario che questo venga tutelato”.
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