Lo aveva promesso e lo ha fatto continuando così la sua battaglia contro la Casa Bianca di Donald Trump.
Megan Rapinoe, la capitana degli Stati Uniti ai Mondiali di calcio femminili e lesbica dichiarata, boicotta l’inno nazionale attirandosi l’ira del presidente americano, ‘sfidato’ davanti agli occhi del mondo. “Penso che il suo atteggiamento non sia appropriato” critica il tycoon, dicendosi disturbato dalle immagini che mostrano la campionessa con le labbra serrate durante The Star-Spangles Banner prima della partita con la Spagna.
L’attacco di Trump
Le parole di Trump non scuotono però la capitana oro olimpico a Londra 2012.
“Non andrò alla fottuta Casa Bianca nel caso in cui dovessimo vincere e fossimo invitate, cosa di cui dubito” replica secca Rapinoe. Immediata la furia del presidente americano alla provocazione: “Prima dovrebbe vincere e poi parlare. Non l’abbiamo neanche ancora invitata. Megan non dovrebbe mancare di rispetto al nostro paese, alla Casa Bianca e alla nostra bandiera”, di cui “dovrebbe essere orgogliosa” twitta Trump.
“I’m not going to the fucking White House.” – @mPinoe pic.twitter.com/sz1ADG2WdT
— Eight by Eight (@8by8mag) 25 giugno 2019
“Sono una protesta ambulante per i diritti”
Rapinoe è famosa per le sua opposizione al presidente americano: apertamente lesbica si definisce una “walking protest” in difesa dei diritti e contro le diseguaglianze, oltre a essere una paladina della ‘pay equality’ nello sport.
Il botta e risposta infuocato segna lo sbarco della protesta contro Trump sui campi di calcio dopo aver invaso e travolto quelli del football americano. La rivolta nella National Football Association è partita nel 2016 con Colin Kaepernick, il quarterback dei San Francisco 49ers, che si è inginocchiato per la prima volta durante l’inno manifestando così contro il razzismo e la brutalità della polizia verso i neri d’America. Fu poi seguito da molti altri colleghi della sua e di altre squadre, e la campagna #taketheknee ben presto dilagò a molti altri sport facendo proseliti tra star del basket come LeBron James o Stephen Curry e tra idoli del mondo dello spettacolo come Stevie Wonder.
La protesta si è scontrata con la furia di Trump che ha attaccato duramente i manager della Nfl e i giocatori, senza risparmiare Nike. Il colosso dell’abbigliamento sportivo infatti ha scelto Kaepernick come suo testimonial inviando così, e’ stata la tesi del presidente, un “messaggio terribile”. Ma Nike non si è fermata davanti alle critiche di Trump, così’ come Kaepernick non aveva smesso di inginocchiarsi, e così come Rapinoe assicura che non smetterà la sua battaglia