Laurel Hubbard passerà alla storia come la prima atleta transgender che ha partecipato ai giochi olimpici di Tokyo 2020. «Prima del 2015» ricorda il Fatto Quotidiano «le atlete transgender non erano ammesse ai Giochi olimpici. Poi il Cio ha aggiornato il regolamento che riguardava anche questo aspetto, dando la possibilità alle persone che hanno cambiato sesso di poter gareggiare».
Le polemiche contro Hubbard
La sua presenza ha però portato molte polemiche, in quanto è stato detto che per le sue caratteristiche fisiche sarebbe stata avvantaggiata rispetto le donne cisgender che gareggiavano con lei. I fatti, però, hanno smentito questi timori. E tutta la narrazione che li hanno accompagnati.
Nessun sollevamento superato
Laurel Hubbard, campionessa pesista, non è riuscita a completare nessuno dei suoi tre sollevamenti nella prima metà del programma. Ciò ha determinato, per altro, che venisse eliminata dalla contesa per la medaglia. Così riporta The New York Times, sulle sue pagine. Dopo il terzo tentativo fallito, infatti, ha alzato le mani in segno di ringraziamento, ha fatto un inchino e ha lasciato il palco. Non è chiaro, riporta il quotidiano, se se completerà nella seconda metà del programma.
I controlli sul testosterone prima delle gare
Ciò smonta la narrazione, portata avanti soprattutto dalle Terf, per cui atlete transgender e atlete cis non dovrebbero gareggiare insieme. Ricorda ancora il Fatto Quotidiano: «Nelle gare femminili in particolare, le donne transessuali ai controlli devono attestarsi su livelli di testosterone inferiori a 10 nanomoli per litro almeno per i 12 mesi precedenti alla competizione». E non è l’unico elemento che smentisce un certo tipo di narrazione. Secondo uno studio sul British Journal of Sport Medicine, a firma di Timothy Roberts, «le differenze fisiche scompaiano dopo uno o due anni di terapie ormonali, il che fa eguagliare le performance sportive senza nessuna differenza prestativa dovuta al vecchio genere».
Hubbard ha rispettato le regole del Cio
«Ci sono esperti» riporta il Fatto «che […] sottolineano come il limite massimo di testosterone richiesto per accettare un’atleta trans, anche se cinque volte più alto rispetto a quello di un’atleta biologicamente nata donna, diminuisca sensibilmente la prestazione di forza e che oltretutto sia normale che le differenze fisiche tra atleti esistano anche al di là del sesso di nascita». E non solo: «Sempre il Cio ha imposto a chi dichiara la propria identità di genere femminile di non poterla modificare per quattro anni. Hubbard ha rispettato questi parametri». Da qui, la sua presenza a Tokyo 2020.
Luxuria: «Nessun vantaggio per le atlete trans»
«Non solo non ha vinto, ma addirittura non è entrata nella classificazione ed è stata esclusa: la peggiore delle performance, quindi» è il commento di Vladimir Luxuria all’ADNKronos. «E questo vuol dire che tutti coloro che hanno previsto e teorizzato la vittoria di Laurel Hubbard per il fatto di essere nata maschio, usando argomentazioni come la struttura ossea o la maggiore forza rispetto alle donne e che per queste ragioni hanno urlato alla slealtà sportiva, oggi hanno avuto la dimostrazione che per le transgender non c’è nessun vantaggio rispetto a chi è nata donna».
Ha vinto la sua gara più importante
«Laurel ha preso degli inibitori del testosterone per un anno intero e quindi ha cominciato il percorso verso i giochi mettendosi sullo stesso piano di tutte le altre donne in gara per la sua categoria» sottolinea Luxuria. «E questo lo sottolineo ricordando che non ho mai espresso il desiderio che vincesse la Hubbard. Non ho tifato per lei in particolare. Ho sempre detto vinca la migliore, vinca chi lo merita. Mentre ho sempre tifato e tifo per l’inclusione delle persone transgender, anche nello sport. E ringrazio per questo il Comitato Olimpico internazionale che ha preso la decisione di ammetterla e Hubbard per aver vinto la sua gara più importante: diventare quello che sentiva di essere».