Uno dei fenomeni più preoccupanti legati all’omofobia, visto il target che colpisce (principalmente minorenni) è certamente quello del bullismo omofobico in particolare nelle scuole e sui social media (o sui social networks), con i conseguenti tristi episodi di cronaca di giovani vittime suicide.
Il sistema giuridico italiano non fornisce una definizione del bullismo e nemmeno la giurisprudenza lo ha, al momento, elaborato. Il bullismo (dall’inglese bullying) è sempre stato considerato sotto il profilo psicologico e non come una fattispecie avente rilevanza giuridica, ed è strettamente connesso al fenomeno del mobbing, che concerne le vessazioni in ambito lavorativo: la dottrina lo definisce anche “mobbing in età evolutiva”.
Purtroppo è sempre più crescente il numero di casi in cui il bullismo è una “sanzione sociale” sostenuta da un’ideologia: come ha dimostrato l’indagine Arcigay del 2012, infatti, le continue prepotenze di alcuni gruppi verso i compagni stranieri o omosessuali o “diversi” rispetto ad un valore del gruppo sono una realtà crescente.
Così come non esiste un concetto giuridico di bullismo, tanto meno è stato formulato giuridicamente il concetto di bullismo omofobico: non esistono in Italia, infatti, ad oggi né un reato di omofobia né un’aggravante per motivi omofobici connessa ad altri reati.
In ogni caso è possibile, per tutelare le vittime di bullismo, applicare singolarmente alcuni istituti già esistenti nel nostro sistema legale.
I reati che si riferiscono a comportamenti tipici del bullo (o del gruppo di bulli) possono essere: percosse, lesioni personali, rissa, ingiuria, diffamazione, violenza sessuale, sequestro di persona, violenza privata, minaccia, atti persecutori, molestie o disturbo, furto, rapina, estorsione e danneggiamento.
Vi sono poi forme di prevaricazione più sottile, come l’isolamento della vittima o la derisione continua della medesima (“bullismo relazionale”): il bullismo infatti non è solo violenza estrema, ma anche quotidiano stillicidio di umiliazioni e di esclusioni. Si parla poi di cyber-bulling quando le prevaricazioni sono poste in essere o amplificate attraverso l’uso di strumenti e dispositivi elettronici e tecnologici, quali email, sms, mms, social networks (Facebook, Youtube etc.).
Un’importante caratteristica del bullismo, da un punto di vista giuridico, è che il fenomeno non è da ricondurre a condotte aggressive individuali, ma riflette dinamiche di gruppo, più complesse da contrastare.
Il bullismo non deve essere confuso con qualsivoglia atto aggressivo, in quanto l’essenza del bullismo sta nel suo carattere relazionale nello scopo prevaricatorio del bullo. Il bullismo è sistematico: continuo e non occasionale.
Nel caso in cui un operatore si renda conto che la vittima di bullismo ha subito una delle azioni di cui ai reati sopra elencati, oltre ad un percorso di sostegno psicologico, dovrà consigliargli di rivolgersi ad un legale (direttamente o tramite i genitori se minorenni) per sporgere nei giusti tempi (normalmente 3 mesi – 6 mesi in caso di violenza sessuale) querela, che potrà successivamente decidere di ritirare (tranne in alcuni casi specifici).
In seguito alla querela il procedimento giungerà presso la Procura della Repubblica e procederà autonomamente, e poiché il bullo solitamente è minorenne, sarà competente il Tribunale per i Minorenni.
La vittima del bullo non potrà costituirsi parte civile in quel procedimento penale (non è prevista la costituzione di parte civile nei processi a carico di minorenni) ma potrà certamente chiedere il risarcimento dei danni morali, biologici, psicologici ed esistenziali subiti a causa degli atti di bullismo rivalendosi in sede civile sui genitori (culpa in educando) ed eventualmente se ci sono gli estremi sulla scuola (culpa in vigilando).