La settimana scorsa da Trento è arrivata la notizia di un’importante sentenza in tema di discriminazioni sul luogo di lavoro per orientamento sessuale.
Episodi come quelli del Trentino possono essere tempestivamente sanzionati grazie al ricorso al D.Lgs 216/2003: in una guida pubblicata lo scorso mese di aprile spiegavamo quali strumenti utilizzare in caso di discriminazione per orientamento sessuale sul luogo di lavoro.
Oggi, così come anticipato in quella guida, faremo invece un piccolo approfondimento su mobbing e molestie.
Le violenze, le aggressioni – anche verbali – e i maltrattamenti subiti sul luogo di lavoro prendono normalmente il nome di mobbing, dall’inglese to mob (assalire, soffocare, vessare). Le forme che il mobbing può assumere, anche al di fuori di un contesto prettamente lavorativo, nei confronti della vittima possono consistere in pressioni o molestie psicologiche, calunnie sistematiche, maltrattamenti verbali ed offese personali, minacce o atteggiamenti miranti ad intimorire ingiustamente o avvilire, anche in forma velata ed indiretta, critiche immotivate ed atteggiamenti ostili, delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’impresa, ente o amministrazione.
Inoltre il mobbing può consistere in forme di esclusione o immotivata marginalizzazione dell’attività lavorativa ovvero svuotamento delle mansioni, nell’attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi, e comunque idonei a provocare seri disagi in relazione alle condizioni psicologiche e fisiche della vittima, attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto, impedimento sistematico ed immotivato all’accesso a notizie ed informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, marginalizzazione immotivata della vittima rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e di aggiornamento professionale, esercizio esasperato di forme di controllo nei confronti della vittima, idonee a produrre danni o seri disagi, atti vessatori correlati alla sfera privata del lavoratore consistenti in discriminazioni.
Non è possibile, all’interno del D.Lgs. 216/2003 individuare una definizione di mobbing, mentre invece il legislatore espressamente pone l’accento sul concetto di molestie in ambito lavorativo (art. 2 comma 3) e fa di più: le assimila alle discriminazioni e le definisce in modo puntuale come “comportamenti indesiderati” posti in essere per discriminare in via diretta o indiretta “aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo”, quello che alcuni autori hanno definito come un “clima di omonegatività sul lavoro”.
La Giurisprudenza delle corti italiane, sia civili che penali, ha comunque – a partire dal 1999 – elaborato attraverso le sentenze dei principi in grado, in parte, di colmare la grave lacuna legislativa sul punto.
In attesa di una normativa completa sul mobbing, che rispecchi la tutela già presente in altri paesi e che il Parlamento Europeo invita a realizzare con alcune risoluzioni già dal 2001, bisognerà dunque utilizzare gli attuali strumenti normativi che sono forniti dal codice civile e penale, dallo statuto dei lavoratori e dal già citato D.Lgs. 216/2003.