E’ di questa settimana la notizia che l’Arcigay ha querelato per diffamazione Massimo Gandolfini, portavoce del comitato “Difendiamo i nostri figli” e promotore del Family Day, per aver affermato che l’associazione approverebbe la pedofilia.
Al di là del caso in sé, che riguarda la tutela di un’associazione e di riflesso di un’intera “categoria” di persone, purtroppo sono tantissime le singole persone che ogni settimana ci segnalano di ricevere gravi offese alla propria dignità e al proprio decoro, con affermazioni gravi che vanno dal “frocio” al “pedofilo” e così via…
Rispetto all’assenza di una tutela specifica per i reati di omofobia abbiamo già detto nelle scorse settimane.
Ma cosa è possibile dunque fare in questi casi?
Il nostro consiglio è assolutamente quello di denunciare perché queste condotte, a seconda delle modalità con cui vengono perpetrate, configurano il reato di ingiuria o diffamazione.
Commette(va) il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) chi offende(va) l’onore o il decoro di una persona presente.
Commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa.
Il diffondersi dei mezzi di comunicazione e l’avvento dei social networks ha ovviamente moltiplicato il fenomeno della diffamazione a mezzo web.
Recentemente il legislatore ha però abrogato, con il c.d. “pacchetto depenalizzazioni” il reato di ingiuria e dunque per questa condotta si potrà agire solo in sede civile.
Come ha risposto la Giurisprudenza (e dunque le corti) ad affermazioni offensive come “frocio” oppure all’accostamento fra “gay e pedofilo”?
Nel corso degli anni l’indirizzo è divenuto via via costante ed è possibile affermare oggi che offendere qualcuno dicendo “frocio” o accostare “gay e pedofilo” configura un reato.
Per tutte ricordiamo due importanti sentenze della Corte di Cassazione:
– la prima è la sentenza Cass. n. 24513 del 2006 che dice che “l’utilizzo della parola frocio ha nella logica e nella sensibilità sociale un chiaro intento di derisione e scherno, espresso in forma graffiante” e configura dunque un reato;
– la seconda è la sentenza Cass. n. 35105 del 2013 che ha condannato una mamma che si lamentava di uno dei professori del figlio, in quanto omosessuale, e in più occasioni aveva definito lo stesso “gay, pedofilo e maleducato”.
Se subite delle offese, dunque, non subite in silenzio ma ricordatevi di denunciare, eventualmente facendovi assistere da avvocate/i della comunità lgbt!