A volte mi sembra di essere un alieno, per quella mia capacità che ho da sempre – da quando sono bambino – di sospendere la vita vera per perdermi nei pensieri: un sogno vivido, una speranza, un amore tutto nella mia testa, una vita che non ho vissuto ma che riesco a immaginare, il potere catartico della scrittura.
Col passare degli anni, crescendo e con una vita sempre più piena, felice e piena di responsabilità, ho imparato a sospendere la vita sempre meno e a concentrarmi su quello che ho, lasciando che i pensieri continuino a vivere dentro di me con la loro forza prorompente ma facendo in modo che scivolino fra le pieghe delle giornate.
I pensieri prendono il sopravvento
Qualche giorno fa, però, i pensieri hanno preso il sopravvento.
E non c’è un vero perché, o forse è solo la somma di tanti piccoli perché.
Per tutto il giorno ho fatto le solite cose eppure mi sentivo come sospeso, come se ci fosse una nota stonata, come se stessi girando a vuoto, come se mi stessi osservando dall’esterno.
A metà mattinata ho ricordato il sogno fatto di notte: un sogno vivido, quasi reale… e per un’incredibile coincidenza Facebook mi ha ricordato che lo stesso era accaduto 5 anni prima (trovo che chi ha inventato la funzione “Accadde oggi” sia una specie di mostro sadico).
Poi nel pomeriggio ho ricordato anche che di notte (mentre cercavo di far riaddormentare Alice che sta passando nottatacce per via di un brutto raffreddore) avevo visto una notifica su Sarahah (che credevo di aver cancellato e invece no!) ed era un messaggio inaspettato di un amore lontano, nel tempo e nello spazio.
Le vite che non ho vissuto
Ho pensato a tutte le vite che non ho vissuto, a quello che sarebbe potuto accadere “se…” e mi sono sentito terribilmente in colpa.
Perché so di avere molto più di tanti altri e perché certi “se…” potrebbero significare l’assenza di Luca e Alice nel mio presente.
Ne ho parlato proprio nel mio ultimo post e proprio qualche giorno dopo ho letto questo vecchio articolo che parla di “Madri Pentite” (Regretting Motherhood) in cui la sociologa israeliana Orna Donath racconta 23 storie di donne che amano immensamente i propri figli ma che se potessero tornare indietro quasi certamente non rifarebbero la scelta di essere madri, un argomento assolutamente tabù per la nostra società (tanto più poi se si è donne e si parla del “sacro” ruolo della madre).
Rifarei tutto
Io se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto, perché non riesco a immaginare la mia vita senza la mia famiglia, senza Alice e Luca, senza tutto quello che è il mio presente… eppure che male c’è a immaginare delle vite parallele non vissute, a rimpiangere occasioni perdute, a fantasticare su quello che sarebbe potuto essere? Perché devo sentirmi in colpa per questo, solo perché proietto dentro di me le aspettative degli altri?
Solo finali di storie
Per fortuna arrivato faticosamente a sera è bastato cullare prima Alice e poi Luca per metterli a letto per tornare prepotentemente alla vita vera, per rimettermi in pace col mondo e con me stesso.
E a notte fonda, mentre sentivo il loro respiro lento e profondo nel sonno, ho aperto l’armadio, ho preso il taccuino e la penna che tenevo lì dentro da troppo tempo, e col sorriso ho immaginato e scritto i finali ad alcune delle vite che non ho vissuto.