22 maggio 1978 – 22 maggio 2018. Dall’approvazione della legge 194 e dall’introduzione dell’interruzione di gravidanza sono passati quarant’anni. Un diritto ormai acquisito? Tutt’altro: le percentuali di medici obiettori, la massiccia presenza dei movimenti prolife all’interno dei consultori, la politica e le campagne non lasciano dubbi. La 194 per qualcuno è una legge scomoda e i diritti delle donne contano poco o nulla.
Per Emma Bonino la 194 «E’ una legge che affronta molte difficoltà e dopo 40 anni sarebbe bene fare un tagliando e capire cosa migliorare».
A che punto siamo
I dati purtroppo parlano chiaro: secondo il Ministero della salute, fermo nelle rilevazioni al 2016, la percentuale di medici obiettori supera il 70%, con alcune regioni che registrano percentuali allarmanti. Basti pensare alla regione Lazio con il suo poco invidiabile 90%: novanta ginecologi su cento si dichiarano obiettori e questo si traduce nella totale assenza di personale non obiettore previsto obbligatoriamente dalla 194 in alcune strutture pubbliche (gli ospedali e le cliniche religiose costituiscono un’eccezione). Per farla breve: in alcuni strutture ospedaliere italiane non è possibile accedere all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG).La Lombardia, regione a forte vocazione cattolica, non ha mai reso noti i dati relativi alla percentuale di medici obiettori.
La situazione nei consultori
I consultori, invece, sembrano essere diventati veri e propri avamposti prolife atti a a demonizzare le donne che vogliono accedere all’IGV e a dirottarle ai CAV – Centri Aiuto alla Vita – consultori privati, gestiti con finanziamenti pubblici, e tutti di matrice cattolica.
Un’inchiesta del Gruppo Editoriale L’Espresso, del 2015, ha evidenziato come l’invasione pro-life dei consultori pubblici abbia raggiunto numeri impressionanti.
Diritti a rischio
Non bastano le campagne prolife che stanno tappezzando l’Italia di manifesti in cui si paragona l’interruzione volontaria di gravidanza al femminicidio. Anche la politica, soprattutto certa politica, sembra intenzionata a voler cancellare il diritto delle donne ad accedere all’Ivg.
Ne sono dimostrazione diretta le dichiarazioni della teocon Paola Binetti.
Alla conferenza stampa alla Camera dei Deputati “La legge sull’aborto in Italia a 40 anni dalla sua introduzione. Bilancio e valutazioni” ha affermato che “la cultura dell’aborto si basa su fake news. Nella precedente legislatura c’è stata un’aggressione all’obiezione di coscienza”. Secondo Binetti se la legge sulle unioni civili ha favorito la Gpa (“utero in affitto” per lei), la madre e responsabile di queste “derive” sarebbe proprio la 194.
Lega all’attacco
Nella medesima conferenza anche Pillon, leghista, si è lanciato in affermazioni non certo favorevoli: “Non mi capacito di come si possa affermare che l’aborto è un diritto della donna. Quando la lascia da sola e senza l’altro protagonista, mi risulta che figli si facciano in due”.
Ma la Lega si spinge ancora oltre e per bocca del deputato Alessandro Pagano ha annunciato una proposta di legge che estenderà il diritto all’obiezione di coscienza anche ai farmacisti. «Gli obiettori aumentano perché il medico e l’ostetrico si trovano a che fare con la vita: lo vedono che a tre settimane batte il cuore, che a cinque settimane l’impronta digitale è ben chiara nelle dita del bambino», spiega il deputato all’Agenzia Dire.
L’obiezione per i farmacisti
«L’aborto è una pratica che oggettivamente inorridisce – continua -. Di qui l’aumento degli obiettori. Per noi questo aspetto va tutelato, va amplificato a tutti i livelli. Noi presenteremo un progetto di legge per far sì che anche i farmacisti possano avere l’obiezione di coscienza nel portare avanti la distribuzione della cosiddetta pillola del giorno dopo, la Rsu 486».
Una proposta di legge che andrebbe a modificare quanto sancito dall’articolo 9, comma 3, della stessa 194,. E’ la parte della norma che stabilisce che l’obiezione di coscienza del medico può essere opposta solo ai procedimenti di Ivg, ma non può essere opposta nell’assistenza pre e post Ivg e men che meno nella prescrizione di contraccettivi post coito.
In merito si era già espresso il Tar, che aveva rigetttato proposte analoghe.