La Commissione Giustizia della Camera ha recentemente adottato il testo base di una legge che mira a rendere reato universale la gestazione per altri. A darne annuncio è stata Carolina Varchi, di Fratelli d’Italia. Erano state proposte due iniziative in tal senso. Una a firma di Giorgia Meloni. L’altra presentata da Mara Carfagna (FI). La commissione ha adottato il testo della leader di Fdi. Il quale dovrà ora passare al vaglio degli emendamenti per approdare poi a Montecitorio.
Un testo che, così com’è presentato e proposto, si presenta per lo più come una misura propagandistica, finalizzata alla campagna elettorale che interessa le forze del centro-destra sia per le amministrative, sia per le politiche del prossimo anno. Ma che, al tempo stesso, rappresenta un pericolosissimo precedente per la qualità della nostra democrazia. E anche perché mira ad attaccare l’omogenitorialità. E, nello specifico, quella maschile. I padri gay, insomma, sono nel mirino delle destre. E non solo.
Il quadro sulla GPA all’estero
La gestazione per altri è una pratica che permette a coppie e single – eterosessuali nella stragrande maggioranza dei casi, e anche omosessuali – di avere un figlio grazie ad una donna che porta a termine la gravidanza. In alcuni casi agli ovuli sono messi a disposizione da una seconda. In Italia è impossibile accedere a questa pratica perché vietata dalla legge 40. All’estero il quadro è molto vario: in alcuni paesi, come Russia e Ucraina, è destinata solo alle coppie etero. In Thailandia è vietata alle coppie che non risiedono nel Paese stesso.
In Canada e USA possono accedervi anche single e coppie di uomini. Per altro, in alcuni paesi è solidaristica (le donne non percepiscono denaro, ma vengono risarcite delle spese mediche) come in Belgio, Danimarca e lo stesso Canada. Negli Stati Uniti, invece, le portatrici (così vengono chiamate le gestanti) lo fanno dietro compenso. Un paese, quello nordamericano, dove però sono a pagamento sia le donazioni di gameti, sia quelle del sangue, dove la sanità è privata e dove non esistono istituti come il congedo di maternità previsto dalla nostra legge. Altri paesi che prevedono la Gpa a pagamento sono l’India, il Sud Africa, la Russia stessa. Il quadro è dunque eterogeneo sotto diversi aspetti. Tra questi anche la tutela delle donne gestanti.
Una legge “repressiva, liberticida e fascista”
La pena prevista in Italia, per chi dovesse accedere a una Gpa dentro i confini nazionali, è la reclusione da tre mesi a due anni con una multa da seicentomila a un milione di euro. La normativa vigente non prevede però nessuna pena per chi decide di accedere a una maternità surrogata in un altro paese. La proposta di Mara Carfagna prevedeva che venisse perseguito chi commette all’estero tale reato, purché cittadino italiano.
La proposta di Fratelli d’Italia, invece, aggiunge: “Le pene si applicano anche se il fatto è commesso all’estero” in modo generico. Quindi qualsiasi persona, anche se non italiana, che ha avuto dei figli con tale pratica rischia pesanti sanzioni nel nostro paese. La proposta è già stata definita “un obbrobrio legislativo” e “repressiva, liberticida e fascista” rispettivamente dal Circolo Mario Mieli di Roma e dall’associazione Famiglie Arcobaleno.
Filomena Gallo: “Giuridicamente inapplicabile”
Durissima Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che dichiara: “Non fa i conti con il diritto internazionale, è giuridicamente inapplicabile e irragionevole. Perseguire l’utero in affitto come reato universale risulta una scelta di politica criminale censurabile sotto molti punti di vista. Un fatto, per essere considerato reato e quindi essere punibile in Italia se commesso all’estero, deve necessariamente essere reato nel Paese straniero dove lo stesso è commesso”. Secondo l’attivista la misura è puramente propagandistica, utile a lanciare la campagna elettorale.
Fortemente avversata dal mondo arcobaleno, è difesa invece da Mara Carfagna, che ha dichiarato: “A chi dice che questa norma è discriminatoria verso la comunità Lgbt ricordo che la gravidanza non è una merce e i corpi delle donne, come quelli di chiunque altro, non sono oggetti di libero utilizzo: chiunque li riduca a tali, omosessuale o eterosessuale che sia, deve sapere che la legge italiana lo sanzionerà, ovunque abbia commesso il suo reato”.
Come è nata la narrazione sull’utero in affitto
Eppure, attraverso un minimo di ricostruzione storica, sembra che tale misura rischi di colpire proprio l’omogenitorialità maschile. Le coppie di persone dello stesso sesso, ricordiamo, in Italia non hanno accesso a nessuna forma di genitorialità. Oltre a non avere accesso alla procreazione medicalmente assistita, non possono adottare. Per cui ricorrere alla gestazione per altri, per le coppie di papà, è spesso l’unico metodo che hanno per poter avere prole. Così come le coppie di donne ricorrono alla fecondazione eterologa in altri paesi. Il tema della Gpa è diventato, per altro, di stringente attualità e affrontato con una certa virulenza proprio a partire dal 2015.
Data non casuale. Si discuteva di unioni civili e di stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner. Il tema fu sollevato per impedire questo tipo di adozione che, secondo chi vi si opponeva, avrebbe aperto la strada “all’utero in affitto“, formula denigratoria con cui si definisce la gestazione per altri. Com’è noto, la stepchild adoption fu stralciata dalla legge grazie all’azione combinata di forze politiche ben precise – le destre e i cosiddetti cattodem interni al Pd – e di una parte di femminismo, lo stesso che esclude le donne trans. Questo è il dato storico.
Perché colpirebbe solo i padri gay
La surrogacy, da pratica prevalentemente eterosessuale, grazie a quella narrazione è così divenuta un fenomeno esclusivamente gay. Cioè maschile. Secondo le sirene di quella narrazione, coppie di ricchi maschi omosessuali si fanno confezionare a tavolino un bambino da strappare a donne incapaci di scegliere per se stesse. Ringraziano nell’ordine: i padri gay dipinti come acquirenti di infanti, la prole ridotta a merce e le donne trasformate in incubatrici senza la capacità di discernere.
Il provvedimento sembra colpire de facto proprio la genitorialità maschile. Le coppie etero possono benissimo, infatti, simulare la gravidanza: i pancioni in lattice sono facilmente reperibili sul web. Le donne lesbiche ricorrono prevalentemente alla procreazione medicalmente assistita (o PMA), con un altro percorso, sempre all’estero. A non poter simulare la gravidanza e a non accedere all’adozione sono proprio le coppie di uomini.
Quel “femminismo” contro i padri gay
Alcune dichiarazioni provenienti da certo mondo femminista sembrano suffragare l’idea che il problema siano per lo più le coppie maschili, sul piano ideologico. Tra le pensatrici più amate dalle realtà che criminalizzano la Gpa, c’è Luisa Muraro. “Esiste […] un omo-patriarcato, ed è il fondamento simbolico del patriarcato. L’obbligo dell’eterosessualità non è l’essenza del patriarcato, come credono le americane” scrisse sul sito della Libreria delle donne di Milano, a commento – non proprio benevolo – di una sentenza del tribunale di Trento che riconosceva la paternità di due gay.
E altrove, in merito ad alcune dichiarazioni dell’ex sindaco di Milano Pisapia sulle adozioni, la filosofa così si espresse: «Il sindaco ha parlato di coppie omosessuali, senza specificare se maschili o femminili. Ma è una differenza enorme. Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli […]. Il problema si pone alle coppie maschili, in quanto naturalmente e ovviamente sterili». Continuando: «E dietro alla pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondersi un’antica invidia verso la fecondità femminile».
Dopo i padri gay: le donne (anche lesbiche)
La questione, tuttavia, non si limita al suo portato discriminatorio nei confronti dell’omosessualità maschile. Una normativa del genere, qualora venisse approvata, potrebbe costituire un precedente molto pericoloso per la qualità della nostra democrazia. Se oggi si vieta a una coppia gay di accedere a una Gpa, domani si potrà fare lo stesso per quelle donne che potrebbero vedersi costrette ad abortire all’estero, in caso di future restrizioni sull’interruzione di gravidanza.
Il quadro culturale, in Italia e all’estero, non rende così peregrina l’ipotesi. O si potrebbero colpire coloro che accompagnano chi va a morire nei paesi dove l’eutanasia è possibile. E si potrebbe rendere un crimine il ricorso alla stessa PMA nei paesi stranieri. E in tal caso la scure poi rischierebbe di cadere sulla testa delle coppie di donne. Con buona pace di Muraro e delle realtà femministe, anche lesbiche, che supportano tale progetto di legge.
L’Italia come l’Ungheria di Orban
Non solo. Limitare diritti e pratiche alla comunità LGBT o a parti di essa è una triste quotidianità in paesi come l’Ungheria, ad esempio. E sappiamo chi è, qui in Italia, una delle migliori alleate di Orban in Europa. Cominciare con questo tipo di provvedimenti anche in Italia rischierebbe di aprire la strada, sul medio e lungo periodo, ad azioni analoghe contro la comunità arcobaleno.
L’ipotesi di limitare diritti e pratiche alle persone LGBT è, per altro, un trucco argomentativo abbastanza vecchio. Soprattutto se sull’altro piatto della bilancia mettiamo – benaltristicamente parlando e di volta in volta, come è già successo in passato – il bene delle famiglie tradizionali, il bene dei minori e qualsiasi altra emergenza che diventa tale solo quando si tratta di colpire la comunità arcobaleno.
Mara Carfagna, pseudo icona gay
Tutti questi elementi aiutano a credere, dunque, che l’azione politica di partiti come Fratelli d’Italia e Forza Italia sia orientata non tanto a proteggere le donne – Fdi ha per altro votato contro la parità salariale, al Parlamento Europeo – come sostengono le proponenti di questo testo di legge, quanto a restringere le libertà fondamentali di una parte della comunità: a cominciare da quella dell’autodeterminazione.
Rischio che andrebbe sempre ricordato, sia al momento del voto sia quando si elevano a “icone” – la stessa Carfagna viene percepita come gay- friendly da parte della comunità – personaggi la cui azione politica va in direzione opposta alle richieste di diritti e al concetto stesso di dignità politica e personale. Ed essere ridotti a acquirenti di infanti, come succede alle coppie di padri gay, è qualcosa che va in direzione opposta ad essa.