Discriminata perché poco femminile: la storia di Valentina, una storia di ordinaria lesbofobia, è rimbalzata sui social e sui telegiornali, già da ieri. Quello che le è successo ha dell’incredibile. In cerca di lavoro, ha risposto ad un annuncio in cui chiedevano la disponibilità di ragazze per lo stand delle pistole sul lungotevere. Un lavoro estivo, da svolgersi tra luglio e agosto, in cui si prometteva un’ottima retribuzione. La ragazza ha contattato la responsabile, ma è stata rifiutata perché troppo mascolina. Gaypost.it ha raggiunto telefonicamente la protagonista di questo episodio increscioso, che ci ha rilasciato un’intervista.
Come mai hai deciso di rispondere a quell’annuncio?
Sono della provincia di Latina e con la mia ragazza abbiamo deciso di trasferirci a Roma. Lei deve fare un master e ho voluto raggiungerla, nella capitale. Devo però trovarmi un lavoro, perché devo pagare l’affitto, visto che abbiamo preso casa insieme. E così ho cercato e ho trovato quell’annuncio.
Un annuncio in cui non chiedevano particolari caratteristiche…
No. Nell’annuncio c’era scritto solo che volevano “ragazze”. Non c’era scritto quali caratteristiche dovessero avere. Se le volevano con i capelli lunghi o in un certo modo. Ho scritto. Mi hanno risposto. Un lavoro mal retribuito – solo 40 euro per sette ore di lavoro allo stand, più il tempo di risistemare a fine turno, in piena notte – ma ho bisogno di lavorare. E così ho chiesto di sapere dove dovevo andare per il colloquio.
E lì cosa è successo?
Non sono mai andata. La ragazza che mi ha contattato mi ha scritto, in privato, dicendomi che “non mi avrebbe mai preso”, anche se non ho capito bene a chi si riferisse, perché loro cercano ragazze femminili ed io sono mascolina. Per altro mi ha detto anche di chiarirmi le idee, di fare una scelta e di capire cosa voglio essere.
E a cosa si riferiva?
Credo che, avendo visto le mie foto in cui sono con la mia ragazza, abbia pensato che io volessi cambiar sesso. Non sapendo che essere lesbiche ed essere persone transessuali sono due cose completamente diverse.
Ma cosa c’era nelle foto che hai condiviso di così stravagante tale da giustificare questo comportamento?
Nulla. La ragazza che si occupa del personale è andata a vedere il mio profilo Facebook. Lì ho le mie foto, dove sono con i capelli corti, sto abbracciata con la mia ragazza, partecipo al pride o bevo una birra con i miei amici.
Cosa ti fa più male di tutta questa situazione?
Premetto una cosa: io posso anche capire che un datore di lavoro possa decidere che tu non fai per lui. Succede. Ammettiamo che possa avere ancora senso, oggi, scegliere ragazze con i capelli lunghi e la quarta di reggiseno – e non dovrebbe essere così – ma una cosa che non accetto è stato l’aver giudicato la mia vita. Aver detto quelle parole e avermi insultato senza nemmeno sapere chi fossi.
Cosa pensi di fare, adesso?
Mi ha contattata Cathy La Torre [avvocata e attivista di Gaylex, ndr] e mi ha detto che vuole assistermi, gratuitamente. Adesso stiamo cercando di capire come muoverci sul piano legale. Voglio andare avanti, fino in fondo. Perché voglio che questa cosa non passi assolutamente. Perché voglio giustizia.
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