Poche settimane prima di laurearmi (dunque ormai tanti anni fa) mi trovavo in Sicilia e scoppiò a casa dei miei genitori il dramma perché ero gay.
Mio padre, curiosando fra le mie cose, credo avesse trovato una lettera o altro e decise di affrontarmi.
Di fronte alla sua domanda secca e diretta, “Sei gay?”, io risposi molto semplicemente “Sì”.
Avevo già 22 anni (in pochi mesi ne avrei fatti 23), una laurea quasi in tasca e intendevo affacciarmi nel mondo adulto senza più il fardello di sensi di colpa che mi aveva accompagnato durante gli anni del liceo e dell’università. Volevo semplicemente essere me stesso ed essere felice, e lo sarei stato con o senza l’approvazione dei miei genitori.
Alla mia risposta, apriti cielo!
La prima, tragica, reazione e i valori di mamma e papà
Urla, disperazione, tentativi di farmi venire i sensi di colpa… ero piombato in una specie di melodramma napoletano per quanto riguarda mio padre (che sempre aveva sospettato della mia omosessualità) e in un mutismo ostinato da parte di mia madre (che invece non aveva mai sospettato nulla).
Io me ne tornai a Bologna e ripresi la mia vita di sempre, dove vivevo la mia vita in modo sereno e alla luce del sole da anni, supportato da una fitta rete di amiche e amici.
Mio padre nell’estremo tentativo di farmi sentire in colpa, o punirmi, mi annunciò che non sarebbe venuto alla mia laurea. Mia madre, dal canto suo, decise di non prendere le mie parti.
Tutto questo perché la mia omosessualità – secondo loro – andava in contrasto con i valori in cui loro avevano sempre creduto.
Io però non avevo nessuna intenzione di tornare indietro e decisi di essere chiaro con loro su questo.
Il diritto alla felicità
Spedii loro una copia della mia tesi di laurea e alla prima pagina scrissi una lunghissima lettera, molto dura.
Spiegai che io avevo diritto ad essere me stesso e ad essere felice, e che lo sarei stato anche senza avere più loro, che tanto amavo, nella mia vita. Non avevo scelto io di essere messo al mondo, ma era stata una loro scelta quella di avermi: dunque era loro dovere accettarmi in toto per quello che ero. Dovevano scegliere se amarmi e restare nella mia vita oppure uscirne. Non avrei tollerato soluzioni intermedie.
Voi direte… ma perché ci stai raccontando questa storia?
Un video diventato virale
Questo aneddoto mi è venuto in mente perché in questi giorni circola un video (che vedete qui sotto) tratto dalla trasmissione “Bride and Pregiudice” in cui uno dei protagonisti, Chris, invita i genitori al proprio matrimonio con il compagno, e i genitori gli anticipano che non andranno perché l’omosessualità del figlio e ancora di più il matrimonio con un altro uomo sono contrari ai loro valori.
La cosa ben peggiore è che la madre di Chris non solo alla fine ha confermato la propria decisione di non andare al matrimonio del figlio, ma la “simpatica signora” la mattina della cerimonia ha pensato bene di recapitare al figlio un video messaggio in cui spiegava le proprie motivazioni e perché “non avrebbe più potuto far parte della vita di suo figlio” in quanto le sue convinzioni religiose venivano prima dell’affetto (che pure dichiara di avere!!! mah…) per lui.
Trovate il video messaggio e un approfondimento su questa storia qui.
Le cose cambiano
A me, invece, per fortuna andò meglio.
Mio padre dopo la lettera decise di venire alla mia laurea.
E piano piano i miei genitori iniziarono prima ad accettare la mia vita, e infine ad essere felici della mia felicità.
Non è stato un percorso facile, né per loro né per me, ma sono contento che infine abbiano messo il loro amore per me davanti alle loro (assurde, lasciatemelo dire) vecchie convinzioni.